Passare dalla fantapolitica preelettorale alla costruzione di un programma politico.

Fissata la data delle nuove consultazioni al 25 settembre, è immediatamente ripartita la giostra dei sondaggi, pratica costante delle moderne sondocrazie. Analisti, politici, studiosi hanno iniziato a ragionare non solo sui futuri risultati elettorali, ma anche sulla ripartizione dei seggi, sino alle probabili maggioranze di governo e, financo, quelle improbabili. Gran parte del dibattito si è incentrato su alleanze ed esclusioni, Fronte repubblicano o alleanza di centrosinistra, vantaggi o svantaggi di aprire o chiudere a questo o a quello. Scelte che condizioneranno fortemente non solo l’esito del voto, ma anche il futuro prossimo del Paese, sono state fatte a partire dai dati forniti dai sondaggi, letti alla luce delle regole imposte dalla pessima legge elettorale.

Quanto fotografato dai sondaggi a due mesi dal voto, con una buona percentuale di intervistati che non risponde - si leggano i numeri riportati in piccolo in calce a tabelle e grafici - e un’altra che non ha ancora deciso cosa votare o dichiara di astenersi, è davvero un quadro affidabile sul quale costruire l’offerta politica e la proposta programmatica di partiti e coalizioni? Obiettivo dei sondaggisti è che la fotografia del paese scattata affacciati dal finestrino dell’auto in corsa, risulti il meno sfocata possibile. Il mestiere del politico è ben diverso. E dovrebbe includere la capacità di proporre soluzioni originali e innovative, in grado di disegnare un futuro non ancora scritto.

A poco meno di due mesi dal voto del 25 Settembre potrebbe essere utile confrontare i dati forniti (con minime differenze fra i vari istituti) a due mesi dal voto delle elezioni politiche passate, con i voti usciti poi dalle urne. E questo non per criticare la diffusione dei sondaggi, né tantomeno per metterne in dubbio la scientificità, ma per dimostrare che prima ancora dell’inizio della campagna elettorale e in un contesto politico diventato sempre più fluido, con percentuali a due cifre di elettori che si spostano da un partito all’altro, ci sono ampissimi margini di manovra per una politica capace di parlare al Paese.

I sondaggi pubblicati a due mesi del voto del 4 marzo 2018 (Euromedia del 7 Gennaio 2018) stimavano Forza Italia al 16,8%, La Lega al 14,5%, Fratelli d’Italia al 5%, il Pd al 23,5%, il Movimento Cinquestelle al 26,3% e Leu al 6,4%. Questi i risultati usciti dalle urne: Forza Italia 14%, La Lega 17,3%, FdI 4,3, Pd 18,7%, il Movimento Cinquestelle 32,6% e Leu 3,3%. Sommando il valore assoluto di tutti gli scarti delle previsioni dai risultati effettivi di tutti i partiti, si registra una differenza totale di oltre 20 punti percentuali. Con valori superiori al 5% per il Pd e il Movimento Cinquestelle.

I sondaggi pubblicati a due mesi dal voto delle elezioni politiche del 24 febbraio 2013 (Lorien 2 Gennaio 2013) attribuivano al Popolo della Libertà il 18%, alla Lega il 5%, a FdI l’1,5%, al Partito Democratico il 32%, a Sinistra Ecologia Libertà il 4%, a Scelta Civica il 14,5%, al Movimento Cinquestelle il 13,5%. Questo il risultato uscito due mesi dopo dalle urne: Popolo delle Libertà 21,%5, Lega 4%, FdI 1,9%, Pd 25,4%, Sel 3,2%, Scelta Civica 10,5%, Movimento Cinquestelle 25,5%. Con uno scarto totale di nuovo molto rilevante, superiore a 30 punti percentuali, e scarti singoli di 6 punti per il Pd e oltre 10 per il Movimento Cinquestelle. Se il centro destra risulta quindi sostanzialmente stabile e più prevedibile, ben più grandi sono i sommovimenti possibili nel resto dello spettro politico.

E come dimenticare il 2001, quando Berlusconi, supportato dai sondaggi che a due mesi dalle elezioni davano il centrodestra avanti di 15 punti, convinse il Paese che lui era senza alcun dubbio il sicuro vincitore? Cosicché il centrosinistra, certo di quell’esito, si attardò nelle alleanze, indicò Rutelli in gran ritardo, e non finanziò adeguatamente la campagna. Nelle urne però il trionfo annunciato di Berlusconi si ridusse a poco più di 2 punti percentuali: Casa delle libertà 45,5%, L’Ulivo 43,7%, con Rifondazione e l’Italia dei Valori con il 5% e il 3,8%. A dimostrazione che anche in fasi politiche più stabili c’è il rischio di sedersi sulle previsioni e poi mordersi le mani.

Nelle ultime due settimane nessuna proposta è stata avanzata quale pietra angolare sulla quale costruire una coalizione. E dire che, volendo, non mancherebbero i temi sui quali misurare l’interesse dei partiti e chiamare a raccolta gli elettori, compresi i moltissimi che da tempo hanno rinunciato al voto e che costituiscono un bacino elettorale preziosissimo per chi spera di ribaltare le previsioni elettorali. E che, detto per inciso, non sono sensibili all’appello antifascista e all’emergenza democratica, altrimenti voterebbero.

Insomma, se è da anni che le campagne elettorali si fanno, si combattono, si studiano, è perché sono un momento particolare nel quale si possono cambiare gli equilibri, trasformare gli scenari, modificare la realtà. Quella vera, figuriamoci quella prevista.

Edoardo Novelli

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