«Nave sanza nocchiero in gran tempesta» scriveva Dante nel canto VI del Purgatorio: così appare l’Italia trent’anni fa, all’inizio del 1992, un anno di fratture e di cesure che chiude un’epoca e ne apre un’altra. Fino a poco tempo prima era stata una pedina centrale negli assetti della Guerra fredda, confine e presidio per una possibile, e sempre temuta, invasione da Est delle truppe del Patto di Varsavia.

Un paese unico

Strano paese, l’Italia; nel 1992 è nella Nato e ha il più forte partito comunista dell’occidente, che fino a un certo periodo è stato legato al partito comunista dell’Unione Sovietica; ha dentro i confini dello stato, anzi nel cuore della sua capitale, il Vaticano, dove vive e governa il papa, che è il capo di uno stato sovrano e nello stesso tempo della religione cattolica.

Infine è un paese immerso nel Mediterraneo e ha di fronte sia Israele, alleata degli Stati Uniti, sia i paesi arabi, che possono contare sulla benevolenza del Vaticano e sulla politica filoaraba, almeno fino a una certa data, di governanti italiani come Moro, Andreotti e Craxi.

Tutto ciò ha dunque reso l’Italia un paese unico per la sua collocazione strategica, per la sua geografia, per le vicende politiche interne, per la sua politica estera e per la presenza dei servizi segreti di vari paesi.

Ma nel 1992 questa importanza strategica dell’Italia viene meno, perché nel giro di un paio d’anni è caduto il muro di Berlino e l’Urss si è dissolta. Anche il Pci, il vecchio spauracchio dei reazionari nostrani e atlantici, ha cambiato nome e natura. La guerra fredda è finita, l’occidente ha vinto e il nemico storico è stato sconfitto.

Crisi, Mani pulite e mafia

FILE-- Former Italy's Premier Bettino Craxi, shown in this 1993 file photo, was reportedly hospitalized Monday, October 25, 1999 with heart trouble in Tunis, the Tunisian capital. Craxi was once one of Italy's most powerful politicians. He served as premier from August 1983 to March 1987. He fled Italy in 1994 after being convicted of illegal financing of political parties, and lives in self-imposed exile in a seaside villa in Hammamet, Tunisia. (AP Photo/Bruno Mosconi/FILES)

All’improvviso l’Italia si trova senza più un nemico esterno, con quello interno profondamente mutato e con un alleato, gli Usa, che non mostra più l’interesse strategico di una volta.

Tre grandi questioni campeggiano nel 1992: prima di tutto la crisi economica, che spinge a provvedimenti as­solutamente eccezionali quali il prelievo forzoso del 6 per mille dai conti correnti degli italiani, perché l’Italia è sull’orlo del baratro e non vi precipita perché si salva in extremis; in secondo luogo l’esplosione di Mani pulite, un fenomeno di corruzione e di finanziamento illecito dei partiti che determinerà da lì a poco la scomparsa della Dc e del Psi e l’incrinatura della Repubblica fondata sui partiti; infine la strage di Capaci, con le morti di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani, seguita subito dopo dalla strage di via D’Amelio, in cui perdono la vita Paolo Borsellino e la sua scorta.

Prima e dopo questi eventi avvengono una serie di episodi, molto diversi tra loro, che fanno del 1992 un anno davvero unico; una serie di avvenimenti che sembrano voler scoperchiare, tutte in una volta, le nefandezze degli anni precedenti, quando la democrazia italiana è stata minacciata dalle manovre eversive e destabilizzanti che hanno caratterizzato gli anni della cosiddetta strategia della tensione, del terrorismo di sinistra, dello stragismo di destra, e di una mirata azione di Cosa nostra che, con determinazione, ha ridisegnato la classe dirigente si­ciliana, con evidenti riflessi su quella italiana, mettendo a segno tanti omicidi sapientemente individuati.

L’esplosione 

Come reagiscono gli italiani a questi fatti traumatici e rivelatori di problemi che esplodono all’improvviso e tutti insieme? Vecchi assetti politici, con epicentro Milano, sembrano crollare nell’ignominia, mentre a Palermo i migliori magistrati vengono trucidati uno dopo l’altro senza che lo stato abbia la forza di impedirlo. E come reagisce la magistratura dopo le stragi di Palermo? Un quadro frastagliato e ingarbugliato, quello della procura della Repubblica di Palermo, a tratti a tinte fosche.

L’anno comincia con l’omicidio di Salvatore Aversa, sovrintendente della polizia di stato, e di sua moglie Lucia Precenzano. È il 4 gennaio. Un omicidio curato in ogni minimo dettaglio, compreso quello simbolico, come lo sfregio di usare una pistola rubata a un poliziotto per ucciderne un altro. Aversa è la memoria storica della polizia lametina, l’uomo che conosce fatti, persone, retroscena, misteri e segreti di una ’ndrangheta potente, stimato dai suoi colleghi e dai suoi concittadini, tranne che da quelli che non gli perdonano di aver firmato la relazione sui rapporti tra ’ndrangheta e politica, per cui ha subito le critiche dei potenti e dei notabili locali. Il colpo è forte.

La Guerra fredda è terminata, ma i morti non riposano in pace.


Il testo è un estratto dal dal nuovo libro di Enzo Ciconte, 1992. L’anno che cambiò l’Italia. Da Mani pulite alle stragi di mafia (Interlinea 2022, pp. 160, euro 14).

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