E se domani cessasse il giornalismo politico, e rimanesse solo quello sportivo, o il bollettino sanitario, quale sarebbe la reazione nel Paese? Temo nessuna. Non c’è un’assemblea di partito, una discussione nelle organizzazioni sul territorio, anche nelle parti sociali.

Per dare peso a ciò che scrivono, i giornali riferiscono che Goldman Sachs dice al presidente del Consiglio Mario Draghi "devi stare lì" come fosse un governo, o come il presidente francese Emmanuel Macron. Qual è l’autorità morale, politica, sociale e civile di una pur grande banca d’affari? Ma il paese tace. 

Non vedo precedenti in nessuna fase della vita repubblicana italiana, anche la più tempestosa.

Mettiamo da parte la domanda se Draghi abbia titolo per diventare presidente della Repubblica. Il fatto sottostante è che sul punto non c’è stata neanche una riflessione.

Nella conferenza stampa di fine anno Draghi ha posto un problema politico che non ha provocato nessuna reazione. Ha detto che gli sembrerebbe strano se la maggioranza che elegge il nuovo presidente della Repubblica fosse diversa da quella che regge il presidente del Consiglio. Non ci sono precedenti.

Anzi, i precedenti hanno sempre stabilito la dissociazione fra queste due maggioranze, ed è utile che non coincidano. E invece è già penetrato il principio che non siamo retti da poteri istituzionali che hanno un loro compito funzionale diviso, intrecciato però autonomo, ma da una coppia.

Il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio sono una "coppia". Una coppia strana, però: uno ha una durata a tempo definito e irrevocabile, sette anni, l’altro ha un tempo determinato dalla provvisorietà e può essere revocato. 

Questa situazione anomala stravolge e travolge la Costituzione. Non dirò che i poteri di garanzia avrebbero dovuto insorgere a questo stravolgimento di equilibrio istituzionale, ma certo da una armonia tra le istituzioni siamo arrivati a un inedito nesso indissolubile. 

La questione democratica

Oggi nell’area dei paesi che hanno una lunga tradizione democratica si apre la questione della democrazia, come negli Stati uniti. Ma qui in Italia ignoriamo la questione della democrazia. Eppure la rottura tra istituzioni e popolo è un dato che incide nell’autorevolezza delle rappresentanze istituzionali ed è l’anticamera della crisi democratica.

In questi sette prossimi anni potremmo trovarci di fronte a casi di bufera che toccano i nostri paesi fratelli, alleati. E se invece toccassero noi? Il nostro presidente difenderà la democrazia o si piegherà a una crisi a cui il paese potrebbe non reggere?

Oggi la questione si pone in maniera sottile, con la diffusione delle paure, per l’economia, per il futuro, a cui si aggiunge anche la paura sanitaria.

Vita di coppia

Ci dovremmo chiedere come dobbiamo convivere in uno stato di perenne necessità ed emergenza, quindi di rischio di sospensione se non di abolizione dei rapporti democratici.

E invece ci si rifugia nella strana coppia. E avendo introdotto questo principio surrettizio di vita democratica, nessuno è in condizione di dire come si può fare una coppia senza eleggere una coppia. La fuga è il rinvio.

Ormai anche i più intransigenti si sono arresi: non c’è una soluzione, teniamoci quello che c’è, la coppia. Ma tra un anno il problema si riproporrà, le elezioni sono una scadenza istituzionale inderogabile. E tra un anno la situazione sarà più grave di oggi.

Per questo è urgente tornare al giudizio popolare che ripristina la separazione dei poteri e consente il controllo sui singoli poteri, e cioè alle forme di organizzazione della democrazia che la Costituzione ci ha dato.

Oggi siamo in piena violazione dell’ordinamento previsto dalla Costituzione. La democrazia è fondata sulla divisibilità del potere. La vita di coppia delle istituzioni non è ammessa. 

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