Tracciare il bilancio di un anno così complesso come il 2020 è difficile anche per chi dispone dell’intera struttura intellettuale della Banca d’Italia e quindi non si può trovare una sintesi netta delle annuali “considerazioni finali” del governatore Ignazio Visco. Le tabelle finali indicano però una cosa precisa: poteva anche andare peggio, le politiche di reazione alla crisi economica da Covid, possibili grazie ai tassi di interesse tenuti bassi dalla Bce, hanno molto attenuato l’impatto sociale. Con conseguenze distributive però da tenere bene in considerazione, che si possono risocostruire incrociando le informazioni di diversi grafici.

Se prendiamo la Figura 5, si vede che gli ammortizzatori sociali hanno evitato il peggio. In tutti i quintili di reddito, chi ha beneficiato degli ammortizzatori ordinari e di quelli Covid ha subito una perdita di reddito da lavoro stimata tra il 2 e poco più del 5 per cento, con i più poveri che hanno subìto meno danni dei più benestanti, quindi tutto bene.

Ma chi non ha potuto contare – per il contratto o il settore in cui operava – sugli ammortizzatori ha preso una botta molto più significativa, che arriva fino a quasi il 15 per cento per chi sta nel primo quintile. I lavoratori a basso reddito senza protezioni sono stati massacrati, o sarebbero stati massacrati (sono simulazioni, non è chiarissimo quanti si sono trovati esattamente in quella situazione).

Morale: gli ammortizzatori hanno evitato l’ecatombe, sono costati tanto ma si è trattato di soldi ben spesi. Se guardiamo la figura 4 vediamo però una cosa che può sembrare strana. Il Pil è sceso del 9 per cento circa, nel 2020, e il debito è salito del 9 per cento per pagare gli interventi che hanno permesso al reddito disponibile da lavoro di scendere di appena poco più del 2 per cento. Quindi, anche in aggregato, il reddito disponibile è sceso molto poco rispetto alla frenata dell’economia. Anche qui, sembra tutto bene.

Guardiamo però la figura 8: i reddito disponibile è diminuito un po’, certo, ma i consumi sono crollati molto di più mentre la propensione al risparmio – cioè la quota di reddito che viene risparmiata – è più che raddoppiata.

Qual è la storia che emerge da questa sequenza di dati e grafici?

Che ci sono state due Italie nella crisi, quella dei quintili più bassi di reddito per i quali le politiche di emergenza hanno sostanzialmente preservato lo status quo, hanno congelato i licenziamenti, integrato un po’ il reddito. E poi c’è l’Italia dei quintili più alti che ha sì perso un po’ di reddito, ma quel pezzo di paese guadagna abbastanza da non spendere tutto quello che incassa, ha ridotto i consumi perché i ristoranti erano chiusi e non si poteva andare in vacanza, non perché ha guadagnato meno.

I depositi sui conti correnti sono cresciuti di 85 miliardi, più di due volte la media dei cinque anni precedenti.

 Sempre dalla figura 5 vediamo che anche i più benestanti sono stati aiutati dallo stato che ha, di fatto, sussidiamo i loro risparmi. Anche perché una parte di quei risparmi andava investita nel debito pubblico emesso per finanziare le misure straordinarie.

Qual è il messaggio? Che adesso bisogna stare attenti. Perché per il pezzo dell’Italia benestante le riaperture e la (possibile) fine della pandemia significa il ritorno ai consumi abituali e una progressiva riduzione del tasso di risparmio.

Per l’altra metà del paese, invece, togliere troppo presto blocco dei licenziamenti e sostegni al reddito attraverso gli ammortizzatori sociali significherebbe presentare il conto in differita della crisi da Covid.

E non avrebbe davvero senso aver fatto tutto quel debito per spostare di qualche mese i problemi, lo scopo era ibernare i problemi nell’attesa della ripresa. Il governo deve quindi ridurre il più possibile i trasferimenti a pioggia – anche alle imprese – e procedere con grande gradualità invece per quanto riguarda le tutele dei più fragili.

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