Nessuno persona di responsabilità invidia quella gravante sul ministro dell'Economia, Daniele Franco: scrivere il piano sui 209 miliardi del Next Generation Eu (Ngeu), coordinarne la gestione, curare il debito, far passare i conti pubblici in parlamento, discuterli con la Ue, negoziare il Patto di stabilità e crescita che sostituirà il precedente, sospeso per Covid, forse defunto. Avrà poi le grane domestiche, dalla evergreen Alitalia, eterna parabola dei mali nostri ad Ilva, Autostrade, Rai, la più politica fra le nomine nelle partecipate.

Per il Ngeu bisognerà curare anche due temi trascurati, ma d'impatto sull'Italia futura: il “Patrimonio Rilancio” e la più piccola Invitalia, Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa.

A cosa serve Invitalia?

Una premessa personale: per chi abbia una certa idea della correttezza è sinceramente spiacevole trattare Invitalia quando s'appanna la stella del capo azienda, Domenico Arcuri.

Essa però conta, gestendo una miriade di agevolazioni pubbliche all'impresa; è anche holding di partecipazioni, che controlla Mediocredito Centrale (Mcc), Infratel Italia, Invitalia Partecipazioni e Italia Turismo. Tralasciamo Mcc, gruppo bancario cui fa capo Banca Popolare di Bari.

Sfugge il ruolo di Infratel Italia nel viluppo di imprese sul digital divide; mappa le aree a fallimento di mercato, progetta gli investimenti, gestisce gli appalti e ne mantiene le opere. Non è chiaro chi investirà in concreto e dove essa si collocherà fra Fibercop, Open Fiber e Tim.

L'impegnativo nome di Italia Turismo racchiude otto villaggi per vacanze e marine dalle incerte fortune, inclusa Fiumicino, da decenni in difficoltà. Invitalia Partecipazioni cura la cessione di attività, lì finite non si sa come.

Le richieste di manifestazioni d'interesse all'acquisto mostrano una Siculiana Navigando, nonché un appartamento in Piazza Municipio 4, Napoli. La sua sezione del sito è però interessante; qui, non in quella della capogruppo, si legge che Invitalia Spa, controllante al 100 per cento, nel 2017 «ha emesso un prestito obbligazionario per  350.000.000 euro quotato su mercato regolamentato. Ne consegue che, a decorrere da tale data le disposizioni in materia di trasparenza non sono più applicabili alla Società Invitalia Partecipazioni Spa, in quanto Società controllata dall’Agenzia, in virtù di quanto previsto dall’ art. 2 bis, c.2, lett. b) del D.Lgs. 33/2013 e dall’art. 26 del D.Lgs. 175/2016».

Da quando ha emesso un prestito quotato, ad Invitalia (che c'entra Invitalia Partecipazioni?) non si applica il tetto alle retribuzioni pubbliche.

Arcuri riceve un emolumento annuo di 160 mila euro come amministratore delegato, cui si somma la »retribuzione dirigenziale di pertinenza». Va bene, può superare i limiti, ma quant'è?

L'insana curiosità cozza con la delibera dell'Autorità Nazionale Anticorruzione del 2017: «Visto il ricorso di un’organizzazione sindacale… delibera di sospendere l’efficacia della delibera n. 241/2017 Linee guida recanti indicazioni sull’attuazione dell’art. 14 del d. lgs. 33/2013 Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali... in attesa della definizione nel merito del giudizio o in attesa di un intervento legislativo chiarificatore».

Solo l'alba di quel giorno svelerà ai posteri «i compensi di qualsiasi natura connessi all'assunzione della carica; gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici» percepiti nel 2021. Niente impedisce intanto agli enti trasparenti – non c'è solo Invitalia – di pubblicare almeno quelle dei massimi vertici, se consenzienti.

Il mistero del bilancio

Nella sezione Trasparenza non c'è il bilancio consolidato; lo si trova approdando un’altra sezione del sito.

Esso mostra utili per 14,2 milioni nel 2019; senza l'apporto di Mcc (22,5 milioni) sarebbe in perdita. Il gruppo ha 2000 dipendenti dal costo medio annuo di 70 mila euro; 61 sono dirigenti. Circa 1700 lavorano a Invitalia spa.

Le controllate, Mcc escluso, essendo poca cosa, andiamo al bilancio della SpA; ha proventi di 135 milioni, un margine lordo di 12, quasi annullato già dalle spese generali, attivi finanziari per 550 milioni e 650 di crediti. Gli utili della SpA (20,6 miliardi), vengono da Mcc (21,4).

Quanto agli incentivi, il sito menziona «agevolazioni concesse» (probabilmente finanziamenti e partecipazioni), per 3,7 miliardi, di cui 2,9 di “contratti di sviluppo” previsti da una serie di leggi.

Invitalia eroga 20 gestioni diverse, alcune delle quali con più capitoli, in totale 40. I principali sono la legge 181, Resto al Sud, Nuove Imprese a tasso zero, Smart & Start Italia, Contratti di Sviluppo, Cultura Crea, Selfiemployment.

In questa pletora di agevolazioni i primi a perdersi sono i potenziali clienti.  A che pro l'estrema dispersione di interventi, la cui gestione è delegata, spesso in regime di immotivato monopolio, ad una spa controllata al 100 per cento dal ministero dell’Economia?

Molte persone lavorano, certo con impegno, ai fini affidati da vari governi; non è colpa loro se tanta congerie s'è lì affastellata. Per la prossima generazione, urge però un esame ravvicinato di come l'Italia, nel “sentiero stretto” della gestione ordinaria, incentiva l'economia.

Questa giungla va razionalizzata, se non disboscata. Ne profitteranno le imprese, cui lo Stato riserverà un insieme, razionale però e coerente, di incentivi, incluso quanto risulterà valido in Invitalia. Arcuri non farà certo mancare a Franco una leale collaborazione; non sarà facile per il secondo convincere il ministero per lo Sviluppo Economico (Mise), cui fa capo gran parte delle agevolazioni.

Il bis di Patrimonio destinato

Se Invitalia va razionalizzata, Patrimonio Rilancio (Par) è una nave ancora alla fonda; si potrà radicalmente rivederne la rotta. Par è un “Patrimonio Destinato”, istituendo nella Cassa depositi e Prestiti (Cdp) con durata di dodici anni. Esso non potrebbe superare il 10 per cento del patrimonio netto della SpA, ma la legge speciale, istitutiva del Par, vi deroga; la sua dotazione, 44 miliardi, supera il patrimonio netto di Cdp.

Il Codice Civile richiede «l'affare al quale è destinato il patrimonio»; a quale “affare” è destinato Par? Esso è tanto “speciale”, da sottoporre l'istituto a torsioni eccezionali. Quei miliardi sono il 21 per cento del “nostro” Ngeu, il 40 per cento del flottante (imprese di Stato, bancari e finanziari esclusi), del Mercato Telematico Azionario di Borsa Italiana. Non serve essere dietrologi per vederci le tentazioni di nuova Iri cui allusero esponenti Lega e M5S, ma dove sono i Beneduce e i Menichella?

Par investirà in finanziamenti e partecipazioni ad imprese con ricavi annui oltre 50 milioni, ma senza strumenti per spingere le aggregazioni. Se i campioni del quarto capitalismo potranno organizzare la ristrutturazione delle loro filiere, come rafforzare la fragile competitività di tante imprese post-pandemia è tema rilevante e urgente.

Se ne occupa un rapporto presentato da Draghi e Raghuram Rajan in Dicembre; suggeriscono di passare dal sostegno a pioggia della prima fase, per individuare le imprese in grado di uscirne vive ma anche sane.

Il Par affianca a interventi “di mercato” altri in regime temporaneo Ue sugli aiuti di Stato, senza previa ripartizione fra gli uni e gli altri; nessun premio per chi indovina quella giusta. Decisi da un Consiglio in cui siederanno 3 persone designate dalle Regioni, essi potranno “evitare difficoltà di ordine sociale e considerevoli perdite di posti di lavoro, l'uscita dal mercato di un'impresa innovativa o di importanza sistemica, il rischio di perturbazioni di un servizio importante o situazioni analoghe debitamente giustificate”.

È poi singolare la determinazione del valore delle partecipazioni: una vendor due diligence preparata dall'impresa stessa. Il prezzo lo fisserà così il venditore? Nè basta che gli interventi di mercato impongano interventi privati pari passu del 30 per cento. Non si sa come, quando, a che condizioni i fondi rientreranno; dodici anni filano via, se non s'interviene in fretta Par avrà un destino gramo.

L'approccio va radicalmente mutato, istituendo un fondo pubblico-privato, al 50 per cento l'uno. Sarebbe troppo lungo entrare nei dettagli, ma i privati arriveranno con regole chiare, se sugli investimenti deciderà gente competente, con una credibilità da difendere. Si destini poi, se necessario, una quota minore ad interventi non rispondenti a quei criteri.

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