- A distanza di vent’anni, ecco di nuovo i Talebani, con il loro armamentario di serie, dalle promesse alle decapitazioni nel giro di qualche giorno, oltre agli omaggi a stelle e strisce lasciati un po’ ovunque.
- In questo nuovo avvento talebano, come reboot comanda, qualcosa di nuovo c’è, e si vede. Parliamo di look, proprio quello. I nuovi Talebani, rispetto ai loro genitori, sembrano tutti usciti dal trucco e parrucco.
- Questi nuovi Talebani, tanto afghani quanto metrosessuali, non sanno che hanno venduto l’anima al diavolo. Lo scopriranno troppo tardi, fortuna nostra. Perché si può sfidare una religione avversa, o un’ideologia, o un popolo, ma come sfidare la propria immagine allo specchio?
A distanza di vent’anni, ecco di nuovo i Talebani. Oramai il mondo procede per franchise sotto tutti i punti di vista, che sia moda, cinema o terrorismo poco cambia. Inventare cose nuove non ci si addice, siamo maestri nel rimescolare le carte, collezionisti di cose già viste e dette.
Dunque, ecco i Talebani, con il loro armamentario di serie, dalle promesse alle decapitazioni nel giro di qualche giorno, oltre agli omaggi a stelle e strisce lasciati un po’ ovunque. Vuoi che lo Sturmtruppen americano non si lasci dietro qualche cassa di bazooka? O elicotteri con le chiavi sotto il parasole?
In questo nuovo avvento talebano, come reboot comanda, qualcosa di nuovo c’è, e si vede. In fondo un reboot ha per principio fondante quello di rinnovare un contenuto al look contemporaneo. Esattamente quello che è avvenuto.
Parliamo di look, proprio quello.
I nuovi Talebani, rispetto ai loro genitori, sembrano tutti usciti dal trucco e parrucco. Con costume terror-chic inappuntabile, da costumista in odore di nomination agli Oscar.
Sono belli e maledetti, e lo sanno, e si piacciono, tantissimo.
Questi nuovi Talebani, tanto afghani quanto metrosessuali, non sanno che hanno venduto l’anima al diavolo.
Un diavolo che ha già vinto. Niente di enfatico o troppo teatrale. Vince un tanto al giorno, come ha già fatto da queste parti da parecchio tempo.
I Talebani lo scopriranno troppo tardi, fortuna nostra. Tornare indietro per loro sarà impossibile, esattamente come è stato per noi.
Perché si può sfidare una religione avversa, o un’ideologia, o un popolo, ma come sfidare la propria immagine allo specchio?
La democrazia in Afghanistan, al dunque, non è stata innestata dagli americani, o da qualsiasi altra nazione mossa da interessi ben diversi dalla democrazia stessa.
Ci ha pensato la rete. E i social.
Più che democrazia, parola pericolosa, la modernità, la contemporaneità con il resto del mondo.
Loro, i Talebani, come qualsiasi altra rete terroristica, hanno creduto e credono ancora che i social siano al loro servizio, e in apparenza è così, quello che gli sfugge è lo scopo di fondo dello strumento. Ovvero vendere e fatturare.
Anche loro vengono profilati. Attraverso le loro ricerche, i propri interessi. Da quel momento sono in trappola, esattamente come noi.
Puoi sfuggire su per le montagne afghane a eserciti di qualsiasi foggia, ma nulla puoi rispetto all’apparente docilità dei cookies.
E il gioco è fatto. Ovviamente servono anni. Quelli che hanno trasformato l’occidente da terra di idee ed eccellenze a landa brulla e desolata, piena di narcisi che si rincorrono dietro, in un cortocircuito oramai sotto gli occhi di tutti: dobbiamo fare attenzione a ciò che desideriamo. Perché il nostro alter ego digitale impiega pochissimo a trasformare il desiderio in ossessione, dalla quale è impossibile sfuggire.
Ecco quello che aspetta i Talebani.
Un tanto al giorno la loro fede si convertirà ad altro culto, quello dell’immagine. Questa è la sola strategia che l’occidente sappia esportare.
Ma ha ancora senso parlare di occidente?
Ovviamente no.
È la cultura dell’algoritmo.
E se ne fotte allegramente di continenti e civiltà.
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