La Consulta ha avvitato l’esame della questione di costituzionalità relativa alla norma che ha abrogato il reato di abuso di ufficio. La questione è stata sollevata dalla Corte di Cassazione per un possibile contrasto con gli artt. 11 e 117 della Costituzione, in relazione agli obblighi derivanti per l’Italia dalla Convenzione delle Nazioni unite contro la corruzione (Merida, 2003).

Nei mesi scori, dubbi di costituzionalità sono stati espressi anche da giudici di merito. E la Commissione europea, nella relazione annuale sullo Stato di diritto 2024 riguardante l’Italia, ha sottolineato che il venire meno del reato «potrebbe avere implicazioni per l’individuazione e l’investigazione di frodi e corruzione».

L’abolizione dell’abuso d’ufficio

L’abolizione dell’abuso di ufficio è stata voluta dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, al fine di scongiurare la cosiddetta burocrazia difensiva, vale a dire quell’inerzia operativa che deriverebbe dal timore dei pubblici funzionari di incorrere in responsabilità penali e che comporterebbe «perdita di efficienza» e «rallentamento dell’azione amministrativa».

Il contrasto con la Convenzione, rileva la Corte, non riguarda la norma (articolo 19) che si limita a chiedere agli stati contraenti di «considerare» l'adozione della fattispecie dell’abuso d’ufficio, «e non già di introdurla obbligatoriamente». Il contrasto, invece, si ravvisa rispetto alla disposizione (articolo 7) che obbliga gli stati «a preservare gli standard di tutela raggiunti» e, dunque, ad «astenersi dall’adottare misure, legislative o amministrative, che comportino il regresso rispetto al livello di attuazione raggiunto nel perseguimento degli scopi della Convenzione».

«L'obbligo di adoperarsi per “mantenere” gli standard di tutela» – continua la Corte – riguarda non solo le misure introdotte in attuazione della Convenzione, ma anche quelle «che ciascuno stato aderente aveva già adottato all’atto della sottoscrizione». È questo l’obbligo che l’abrogazione della norma sull’abuso di ufficio potrebbe aver violato. Tale abrogazione, infatti, «non è stata “compensata” dall’adozione di meccanismi, preventivi o repressivi, penali o amministrativi volti a mantenere il medesimo standard di efficacia ed effettività nella prevenzione degli abusi».

Dunque, affermano gli ermellini, se è legittimo ridurre la portata dell’abuso di ufficio, tale intervento deve tuttavia bilanciare «le esigenze costituzionali dell'imparzialità e dell’efficacia dell’azione amministrativa». Ma il legislatore italiano non l’ha fatto, «sacrificando integralmente la tutela dei cittadini contro gli abusi posti in essere dai pubblici agenti intenzionalmente ai loro danni».

Il depotenziamento della lotta alla corruzione

Ora la Consulta dovrà pronunciarsi sulla legittimità della disposizione abrogativa dell’abuso d’ufficio. Se vi fosse una declaratoria di incostituzionalità, il reato potrebbe rivivere. Sarebbe l’ennesima norma governativa affetta da vizi di una certa rilevanza. Nell’udienza di ieri l’avvocato Manlio Morcella, costituitosi parte civile nella causa, ha invitato i giudici costituzionali a formulare un rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di giustizia europea.

Nei giorni scorsi l’Anac, autorità anticorruzione, ha formalmente chiesto a parlamento e governo la tempestiva modifica del cosiddetto “decreto Milleproroghe”, con riguardo a disposizioni in materia di inconferibilità di incarichi amministrativi.

L’Anac «segnala l’urgenza» di ripristinare il previgente divieto di conferirli a chi avesse rivestito, tra l’altro, incarichi di natura politica a livello locale. Il divieto era, infatti, funzionale a garantire l’imparzialità e l’efficacia dell’azione della P.A., evitando situazioni di conflitto di interessi e di condizionamento che potrebbero derivare dal «passaggio senza soluzione di continuità dalla sfera politica a quella amministrativa».

Dall’abolizione dell’abuso d’ufficio alla norma sull’inconferibilità, per non parlare del parere negativo espresso dalla maggioranza in parlamento circa la proposta di direttiva europea sulla lotta alla corruzione, l’impressione è che negli ultimi tempi la tutela della legalità sia diventata meno importante rispetto ad altri interessi.

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