- La tragedia afghana scardina convinzioni nel modo d’essere della politica e della sinistra. Non è solo la conferma che la democrazia non si esporta con le bombe.
- Adesso la priorità è accogliere chi fugge. Bisogna farlo per due ragioni. Una riguarda noi europei ed è l’obbligo a non coronare la sconfitta politica e militare con una disfatta morale.
- Aiutare e ricollocare i profughi afghani è l’unico ancoraggio delle nostre democrazie se vogliamo recuperare una funzione anche politica. L’altra ragione investe il regime talebano che dovrà gestire non una guerriglia, ma un paese dilaniato, orfano di risorse, cibo, medicine, di uno Stato.
«Quando i fatti cambiano, io cambio opinione. Lei cosa fa, signore?». Facile resuscitare l’ironia di Keynes verso un tale che ne discuteva la coerenza. Oggi qualcosa di simile vale anche per la sinistra, in Europa e in casa nostra. Da tre giorni rimbalziamo tra formule estreme: catastrofe, debacle, fuga ignominiosa, tragico errore. Ciascuna ha il suo motivo. C’è chi scomoda i rimandi storici, il più sfruttato è il ritiro da Saigon. Ma storia o meno gli eventi stanno lì: in un colpo solo l’Occ



