«Quando i fatti cambiano, io cambio opinione. Lei cosa fa, signore?». Facile resuscitare l’ironia di Keynes verso un tale che ne discuteva la coerenza. Oggi qualcosa di simile vale anche per la sinistra, in Europa e in casa nostra. Da tre giorni rimbalziamo tra formule estreme: catastrofe, debacle, fuga ignominiosa, tragico errore. Ciascuna ha il suo motivo.

C’è chi scomoda i rimandi storici, il più sfruttato è il ritiro da Saigon. Ma storia o meno gli eventi stanno lì: in un colpo solo l’Occidente assieme alla faccia ha perso una quota di reputazione come garante di equilibri su scala vasta e siccome le immagini sono simboli, quelle dell’assalto all’aeroporto di Kabul rimarranno ad ammonire sul fallimento di un ventennio intero. “Abbiamo sbagliato tutto” ha detto Angela Merkel in uno slancio di verità.

Adesso la priorità è accogliere chi fugge. Bisogna farlo per due ragioni. Una riguarda noi europei ed è l’obbligo a non coronare la sconfitta politica e militare con una disfatta morale. Aiutare e ricollocare i profughi afghani è l’unico ancoraggio delle nostre democrazie se vogliamo recuperare una funzione anche politica. L’altra ragione investe il regime talebano che dovrà gestire non una guerriglia, ma un paese dilaniato, orfano di risorse, cibo, medicine, di uno Stato.

E’ vero, la storia è fatta pure di patti coi nemici ed è evidente che in quel teatro peseranno i ruoli dei paesi confinanti, ma l’Europa – sempre che in questa vicenda l’Europa abbia forza e volontà per esprimersi – dovrebbe interloquire con le principali potenze e coi governi della Regione per evitare il precipitare in una teocrazia che faccia di nuovo strage dei diritti umani a partire da quelli delle donne.

Domande per la sinistra

Detto ciò, è ipocrita aggirare l’ostacolo. La tragedia afghana scardina convinzioni nel modo d’essere della politica e della sinistra. Non è solo la conferma che la democrazia non si esporta con le bombe. Per altro, a meno di voler negare il nostro passato, tema da non confondere col sostegno alla resistenza verso totalitarismi e dittature.

L’interrogativo è sul carattere universale dei valori a fondamento di un’idea di civiltà. Libertà individuali, uguaglianza nei diritti, parità tra i generi, la distinzione tra religione e potere, una giustizia commisurata al diritto: per la nostra cultura la democrazia non è concepibile fuori da questa cornice. Parliamo di valori irrinunciabili. Ma cosa accade quando prendiamo atto della loro non universalità?

La risposta è che sconfitta l’ambizione di imporli con la forza, la via è aprire un ciclo diverso dove il sostegno e l’affermazione di quei principi passi dalla volontà coerente nel rispettarli sempre, ovunque si riveli necessario e possibile costruendo un nuovo ordine e governo democratico dal quale siamo tuttora distanti.

In altri termini, in questa prossima stagione come assolvere le Nazioni Unite dall’impotenza attuale e assegnare un ruolo diverso al G20? In questo senso la stessa missione dell’Europa non dovrà più dipendere dai giudizi della Casa Bianca, chiunque la abiti, o dagli interessi di altri. Ed è qui anche il significato di quell’appello: accogliamoli tutti. Non si tratta né potrebbe essere il mezzo per assolverci la coscienza. Diventa, invece, il solo modo di manifestare oltre noi e i confini oggi sconfitti delle nostre leggi, la forza dei principi che ispirano e reggono le democrazie.

La destra minaccerà le piazze contro l’ultima invasione e magari guadagnerà qualche voto lucrando sulle paure? Spero non accada, ma pure dovesse succedere i voti si possono recuperare. L’irreparabile è se perdi l’anima perché quella non la ricompri più.     

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