I partiti che avevano tenuto Mario Draghi a palazzo Chigi, invece che mandarlo al Quirinale, perché era fondamentale proseguire il percorso di riforme avviato ora lo licenziano in malo modo.

Nel suo discorso al Senato il premier ha posto condizioni chiare: si continua se c’è un accordo trasversale tra le forze politiche a governare in modo serio, a seguire l’agenda del Pnrr, a proteggere i conti e le famiglie da inflazione e recessione.

I partiti hanno risposto con un voto che chiude la carriera politica di Draghi, almeno per ora, ma che almeno fa chiarezza: a parte il Pd, che è rimasto granitico a sostegno dell’esecutivo in tutte le fasi della crisi, le altre forze politiche sono già da tempo preda di una ossessione elettorale che rende impossibile governare.

Strano paese, l’Italia, dove la competizione per il potere è più importante dell’esercizio di quel potere così faticosamente conquistato.

Forse perché gran parte dei leader eccelle nelle trame di palazzo, ma non certo nell’arte del governo.

Fa eccezione Giuseppe Conte, modesto da premier e disastroso da regista di una crisi che ha avviato e che poi gli è stata sfilata da Silvio Berlusconi e Matteo Salvini.

Ora non resta che andare a votare, gli sforzi dell’instancabile presidente Sergio Mattarella per portare la legislatura alla fine naturale non sono più necessari: i partiti hanno voluto sottrarsi alla responsabilità del governo, che si confrontino con gli elettori.

Da parte nostra, come osservatori partecipi di queste dinamiche, ci prepariamo alla stagione elettorale con tre consapevolezze.

Primo: la fase del populismo e della protesta è finita, il ciclo dei Cinque stelle si è chiuso con l’imbarazzante performance di Conte nella crisi.

Secondo: si prepara l’avanzata di una nuova destra che ha il volto di Giorgia Meloni, già scelta da pezzi dell’establishment come il meno peggio, ma che tra Fratelli d’Italia e Lega contiene il peggio del peggio, tra orgogliosi nazisti, faccendieri spudorati e gente con più avvisi di garanzia che voti.

Terzo: nell’area del centrosinistra non basterà presentarsi come il partito della responsabilità, il “team Draghi”.

Servono risposte a sfide epocali, ci aspetta un autunno di inflazione, rabbia sociale e ombre di recessione. O il mondo del centrosinistra produce proposte radicali, o la leadership del Pd sarà corresponsabile della vittoria delle destre peggiori.

Non possiamo contare sui miraggi di “grandi centri” per evitare il peggio, ci siamo giocati l’italiano più autorevole da spendere in politica, sono finiti i tecnici, la Repubblica non ha più “riserve” in panchina. Metà dei parlamentari protagonisti di questa fase dimenticabile non sarà rieletta.

Ogni disastro è anche un nuovo inizio. Di fronte alle sfide del paese, la passività è l’unica opzione non ammessa.

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