Il Pnrr, finanziato dall’Unione europea, doveva rappresentare un consistente aiuto per modernizzare il paese e renderlo resistente alle crisi e, invece, sta diventando una sorta di incubo per l’Italia e per il suo governo. Sembra di essere nel racconto di Robert Louis Stevenson Dr Jekyll e mr Hyde. Varato dal secondo governo Conte, poi completato dal governo Draghi, il Pnrr deve ora essere attuato dal governo Meloni che lo vuole aggiornare, mentre si alternano fra i suoi ministri voci rinunciatarie e disfattiste con sollecitazioni a usare tutte le risorse e dichiarazioni trionfalistiche. Perché solo da noi si è verificata questa situazione?

In realtà in tutti i paesi europei ci sono ripensamenti, modifiche e riluttanze, ma in nessun paese queste hanno assunto le dimensioni politiche che hanno nel nostro paese. La ragione sta nel fatto che il piano europeo è stato concepito prevalentemente per il nostro paese che da sempre lamentava l’assenza di una finanza europea volta a sostenere i paesi in difficoltà.

Ora che è stato creato debito europeo per aiutare i paesi a uscire dalle difficoltà della pandemia e dato che l’Italia è il paese che più di tutti ha ricevuto sostegni utilizzando sia gli aiuti a fondo perduto che i crediti a tassi di favore, è logico che gli occhi di tutti i paesi europei siano puntati su di noi per capire se faremo buon uso di queste risorse. È così che questi aiuti generosi che dovrebbero far felice il governo che li ha ottenuti, rischiano di trasformarsi in un pesante fardello, capace anche di far cadere un governo con una maggioranza stabile se non riuscisse a spendere bene queste risorse.

La scommessa non riguarda solo il nostro paese ma riguarda anche il futuro dell’Europa. Aver creato un debito europeo è stato uno strappo forte rispetto all’impostazione di molti paesi che hanno sempre ostacolato questa scelta perché la vedono come un sistema per scaricare i “vizi” di alcuni paesi sulle “virtù” degli altri. È ovvio, perciò, che se l’Italia fosse incapace di utilizzare questo debito o addirittura lo utilizzasse male, l’esperimento risulterebbe fallito e non ci sarebbe più la possibilità di creare nuovo debito europeo per obiettivi comuni.

E, invece, sarebbe molto utile che l’Europa insistesse su questa strada, viste le sfide che ha di fronte, in termini di lotta al cambiamento climatico, esigenze di rendersi indipendente dalle fonti di energia importate, sfide per l’innovazione tecnologica e per la difesa comune. Tutte sfide che sarebbe logico affrontare con una finanza europea, ma che potrebbero essere messe in discussione se fallisse il primo tentativo avviato con il Next generation Eu.

Ecco allora che, mentre negli altri paesi l’attuazione dei rispettivi Pnrr non desta particolare attenzione, pur se anche in altri paesi ci sono esitazioni e molti piani non sembrano essere particolarmente validi, in Italia la sfida del Pnrr è tale da creare crisi politiche sia nel paese che in Europa. Noi non possiamo fallire e, francamente, non è poi così arduo riuscire a realizzare gran parte del Pnrr: basta volontà politica e determinazione per completarlo almeno nei principali impegni.

È ora che si smentisca questa rassegnazione a non completare le opere, a causa prevalentemente dell’instabilità politica che creava fratture nei processi amministrativi. Visto che ora c’è un governo in carica che non sembra minacciato da crisi, c’è da augurarsi che sia capace di portare avanti gran parte del Pnrr, perché ne va del futuro del paese e dell’Europa.

© Riproduzione riservata