Certe decisioni di alcuni giudici non piacciono all’esecutivo? Basta cambiare i giudici, e il gioco è fatto. Questo deve aver pensato il governo di Giorgia Meloni quando, nel dicembre scorso, con un emendamento alla legge di conversione del decreto Flussi, aveva spostato la competenza sulle convalide dei trattenimenti nelle procedure accelerate di frontiera, quindi anche quelle dei migranti portati in Albania, dalle sezioni specializzate dei tribunali alle corti di Appello.

Il cambio di competenza

L’emendamento era stato formulato dopo che vari tribunali si erano espressi negativamente sul fermo di richiedenti asilo. In particolare, i giudici del tribunale di Roma, il 18 ottobre, non avevano convalidato il trattenimento in Albania di 12 migranti e poi, l’11 novembre, avevano sospeso la decisione sulle convalide relative ad altri 7, chiedendo alla Corte di giustizia Ue di pronunciarsi sulle norme europee in materia di paesi sicuri.

Attribuire alle corti di Appello, giudice di secondo grado, la convalida dei fermi, un unicuum nell’ordinamento nazionale, appariva come una forzatura. Soprattutto la corte, per le carenze di organico lamentate da diversi anni, era impossibilitata a far fronte ai nuovi compiti.

Pertanto, nel dicembre scorso, il suo presidente, Giuseppe Meliadò, aveva pubblicato un interpello rivolto a giudici di primo grado interessati a confluire in corte d’Appello. Tra gli altri, si erano proposti quattro magistrati della sezione specializzata in immigrazione. La scelta era ricaduta su questi ultimi poiché la vigente circolare del Csm in materia di «supplenze, assegnazioni e applicazioni» dà preferenza ai giudici che esercitano gli stessi compiti che sono chiamati a svolgere presso l’ufficio di destinazione.

Il decreto Migranti bis

Siccome, nonostante lo spostamento di competenza dalla sezione specializzata del tribunale alla corte di Appello, a decidere sugli ultimi trattenimenti in Albania sono stati giudici provenienti dalla sezione stessa, il governo vuole intervenire nuovamente sul tema.

«La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere», afferma l’articolo 104 della Costituzione. Autonomia e indipendenza riguardano non solo l’attività dell’ordine giudiziario, ma anche la sua organizzazione. Un decreto legge “ad personam”, con cui il governo in qualche modo si intromettesse in modo determinante sullo spostamento di specifici magistrati da un organo giurisdizionale all’altro, presenterebbe problemi di legittimità.

Va, tuttavia, ricordato che, ai sensi dell’articolo 110 della Costituzione, spettano al guardasigilli «l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia». Qualche anno fa il legislatore era intervenuto proprio in tema di “applicazione” dei magistrati, il cui spostamento nei casi di «condizioni critiche di rendimento» – ad esempio rilevanti carichi di lavoro da smaltire – fino al 2019 poteva essere disposto solo con «parere favorevole del ministro della Giustizia».

Poi, era stato eliminato l’aggettivo «favorevole». Forse ora lo si vuole ripristinare, aggiungendo anche altri paletti idonei a condizionare i trasferimenti di giudici in futuro, e magari incidere anche su quelli del passato, rimettendo così al guardasigilli il “blocco” dei magistrati che si teme possano operare decisioni sgradite.

Ma lo stesso articolo 110, riguardo ai poteri del ministro, precisa «ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura». Quest’ultimo, secondo l’articolo 105 della Costituzione si occupa, tra l’altro, dei «trasferimenti» dei magistrati. Un intervento del guardasigilli che, senza condivisione con il Csm, con cui egli deve avere rapporti di collaborazione, incidesse su coloro i quali possono o meno giudicare su determinati temi, potrebbe costituire un’ingerenza.

Ciò confermerebbe quell’istanza di “controllo” sui giudici che emerge da dichiarazioni di esponenti della maggioranza. Perché quando i capigruppo di Fratelli d'Italia, Lucio Malan e Galeazzo Bignami, affermano che la corte d’Appello avrebbe «preso in giro il parlamento» eludendo il cambio di competenze, in pratica autodenunciano che l’interferenza del potere esecutivo su quello giudiziario non è andata a buon fine.

E soprattutto dimostrano di non aver ancora capito che le pronunce sui migranti in Albania sarebbero le stesse qualunque giudice le adottasse: bisogna attendere la sentenza della Corte Ue per poter dire una parola definitiva sui trattenimenti. Ed è ciò che i giudici della corte d’Appello, anche nell’ultimo caso, hanno deciso.

© Riproduzione riservata