Il grande nemico delle banche centrali è l’inflazione, ma la Banca centrale europea (Bce), a lungo e inutilmente, ha perseguito l’obiettivo di farla salire a quasi il due per cento annuo; in dosi moderate essa aiuta ad aggiustare i prezzi relativi e tiene a bada la deflazione, che deprime i consumi oggi e domani accresce il peso reale dei debiti. Poi fra Covid e aumento dei prezzi dell’energia, esacerbati dalla guerra russa, l’inflazione è esplosa; oggi nell’area euro è fra il sette e il dieci per cento. La Bce doveva alzare i tassi avviando un viaggio – così la presidente Christine Lagarde – verso la normalità. L’inflazione europea non nasce da troppa domanda, ma da strozzature che bloccano l’offerta. I rialzi, non potendo sbloccare questa, comprimono quella per adeguarla alla prima; il pericolo è di esagerare scatenando la recessione e imponendo imbarazzanti inversioni a U sui tassi. Ne han qui scritto il direttore Stefano Feltri, Mario Seminerio e Alessandro Penati.

I rischi per l’Italia

L’Italia, col suo abnorme debito pubblico, ne soffrirà; avrà migliori rendimenti chi risparmia. Lagarde ha anche parlato di interventi selettivi su titoli sovrani, da alcuni definiti scudo anti spread, per «evitare la frammentazione del mercato e garantire la trasmissione della politica monetaria in tutta l'area euro». Cosa vuol dire?

Preoccupano possibili crisi di panico, come quelle che portano all’assalto alle casse di una banca ritenuta in difficoltà; chi ha visto Mary Poppins lo sa bene, anche la più solida crolla se tutti corrono assieme a ritirare i depositi.

Nel Luglio 2012 Mario Draghi disse la frase stracitata (“Whatever it takes”), fermando la “fuga” dal nostro debito pubblico, giunto allora a spread sul debito tedesco, solo legati alla temuta nostra uscita dall’euro. Questa avrebbe causato perdite ai creditori, che sarebbero stati ripagati in una nuova lira, e profitti ai creditori dei paesi “forti”, Germania in testa, che sarebbero stati ripagati in una moneta più forte sì, ma perciò stesso meno competitiva.

Si può supporre che tale argomento sia stato esposto con forza da chi di dovere all’assai mercantilista cancelliera tedesca di allora. Occorreva anche convincere gli anglosassoni, cui sfuggiva l’importanza per la Ue dell’euro, tassello chiave della faticosa Unione monetaria ed economica, e Draghi tolse dal tavolo il rischio, esiziale, della sua dissoluzione.

Se il debito è insostenibile, non c’è nulla da fare, ma un debito anche molto alto è diverso da uno insostenibile e Roma ha sempre assolto ai suoi obblighi. Si deve sperare che i partiti, già tesi alla volata elettorale, mostrino di aver assimilato i gravi rischi di tale quadro, se non per senso di responsabilità, almeno per rispetto verso gli elettori.

Il panico dei mercati

Ora la Bce alza i tassi, ma deve affrontare anche l’altro nemico, il possibile panico dei mercati. Sono i due lati del necessario compromesso. Alcuni han criticato Lagarde che non ha chiarito in quali circostanze i nuovi strumenti potrebbero attivarsi.

Non era il caso di mostrare un drappo rosso ai mercati, ma se alzare i tassi era inevitabile, una presidente meno gracile di Lagarde si sarebbe presentata impugnando due armi, i due lati del compromesso, e con munizioni adatte.

Chiara sui tassi, essa s’è invece limitata a vaghi cenni sullo “sportello anti panico”, di cui l’esperienza mostra la necessità. L’imbarazzante retromarcia rispetto al Luglio 2012 è la rivincita della linea storica tedesca.

Nel 2019 ascoltai Jens Weidmann, allora presidente della Bundesbank, la banca centrale tedesca, impegnato in un’offensiva diplomatica volta a spianargli la strada alla successione a Mario Draghi. Un noto economista gli chiese se riteneva utile uno strumento che stroncasse ondate di panico sui mercati, come quella del 2011-12.

Weidmann rispose serafico che la valutazione dei crediti spettava ai mercati, non ai decisori politici o monetari. Condannava così in radice la politica monetaria della Bce. In precedenza egli aveva associato la Bundesbank, davanti alla Corte suprema tedesca, alle obiezioni di noti economisti contro la Bce; ragione non ultima della sconfitta nella corsa alla successione.

Sullo sfondo restano grossi temi come il completamento dell’unione bancaria, la revisione del patto di stabilità e i progetti per “congelare” il ghiacciaio del debito pregresso. Un solido sportello anti panico agevolerebbe tali negoziati. Potranno essere utili due paroline – simili a quelle sussurrate forse ad Angela Merkel – al suo successore.

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