Nella conferenza stampa di qualche giorno fa il presidente del Consiglio Mario Draghi ha detto: «A me piace ascoltare». Attitudine encomiabile. Eppure un presidente che ha davanti a sé una serie grande di rotture da sanare – politiche, istituzionali, economiche, sociali – non è confessore, ma condottiero. Deve guidare. Si ha l’impressione che l’apparato trasversale di governo che ha cooptato e inglobato Draghi, lo faccia vivere nell’illusione che può diventare il candidato alla presidenza della Repubblica solo se non si muove. Se ascolta. E così lui, che era stato subito inteso come una grande personalità che in Europa avrebbe parlato e sarebbe stato ascoltato come voce molto autorevole, appena andato a Bruxelles si è messo invece subito nel coro. Ha detto che se l’Unione non avesse funzionato sui vaccini avremmo «fatto da soli», poi subito se l’è rimangiato.

Ho il timore che il ritardo nelle vaccinazioni provocherà un ritardo su tutta la risoluzione dei problemi aperti in Italia. Cominciando da quelli di carattere sociale e dal Recovery plan, che di fatto si ritrova spostato in avanti nel tempo. Ma anche in Europa. La presenza speciale di Joe Biden al Consiglio europeo del 25 marzo è il sintomo del fatto che in America sono preoccupati dello sbandamento e dello sgretolamento dell’Ue. Biden ha detto «il nostro alleato fondamentale è l’Europa», sembrava Roosevelt quando annunciava l’ingresso nella Guerra mondiale.

È un fatto positivo, ma anche il segno della apprensione americana. E del sospetto che il progetto europeo si stia disgregando. In Francia c’è un presidente sempre più indebolito, in Germania assistiamo al crollo di Angela Merkel. In Europa sui vaccini hanno tutti perso la testa. Non hanno capito che lo sforzo doveva essere immediatamente sulla produzione, come hanno fatto gli Stati Uniti: perché la macchina che ha l’America per riconvertire le produzioni verso un obiettivo immediato è straordinaria, ancora unica al mondo. Questa in Europa è stata una prova terribile. Proprio quando l’Unione ha bisogno di compiere passi avanti nella unità politica.

Biden è pronto al soccorso. Il Consiglio europeo dimostra che anche per la unità politica d’Europa abbiamo bisogno di una protezione internazionale. E che finita l’èra Trump, gli unici che possono realmente volere la unità politica dell’Europa sono gli Usa. Abbiamo avuto l’illusione che l’Unione potesse diventare una forza autonoma, anche grazie allo scellerato neoisolazionismo di Trump. Invece Biden ha capito che l’America ha un destino, continuare a essere, nel mondo, la forza della riorganizzazione di un (minimo di) ordine; ma ha bisogno di un’Europa forte. Abbiamo già ricordato che quando ci diciamo europeisti spesso diciamo una cosa vuota, senza uno stato europeo, o una federazione, con una sua Costituzione; l’europeismo della burocrazia di Bruxelles lo abbiamo già. Ma il sistema non si aggiusta da sé. Le destre europee si sono spostate su un terreno non più manifestamente anti europeista. Approfittano della profonda crisi della sinistra europea per aprire un nuovo fronte. Non va sottovalutato l’incontro fra Salvini, Orbán e Morawiecki. Assistiamo al ritorno di una battaglia europeista basata sul reazionarismo cristiano, in polemica con l’attuale pontefice. Che approfitta del crollo dei partiti di matrice popolare, cattolica e sociale, nella versione laburista, socialista e socialdemocratica. La destra si candida a governare la nuova Europa, i suoi confini sono quelli dell’estremismo fondamentalista cristiano, che poi è il profondo del confine della Polonia.

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