Molti commentatori di stampo liberista hanno accolto con interesse e gioia alcune affermazioni della presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo discorso alle camere perché ha sostenuto che il suo governo avrà come motto «Non disturbare chi vuole fare» e ha citato la frase di Montesquieu «La libertà è quel bene che fa godere di ogni altro bene».

Avremo, dunque, finalmente un governo liberale? C’è da dubitarne, perché l’impostazione ideologica di questo governo è piuttosto il nazionalismo, che è l’opposto del liberalismo.

In economia il nazionalismo presuppone un approccio tendente all’autarchia e implica il favorire sempre e comunque gli operatori nazionali (alla faccia del merito), che si ritengono in qualche modo influenzabili dal governo nazionale, rispetto a quelli di altri paesi, sospettati di perseguire fini e strategie imposte da altri stati.

E difatti nel suo discorso la presidente del Consiglio Meloni ha annunciato che introdurrà una clausola di salvaguardia dell’interesse della nazione per le concessioni di infrastrutture pubbliche (autostrade, porti, aeroporti, ecc.), quasi che un operatore estero potesse portarsi via un porto o un’autostrada, o gestirla a favore esclusivo di interessi stranieri e malgrado operatori italiani gestiscano concessioni di infrastrutture di altri paesi.

Il nazionalismo traspare anche dalle scelte delle dizioni dei ministeri, dove quello dello Sviluppo Economico si va trasformando in ministero delle Imprese con l’aggiunta del Made in Italy, mentre quello dell’Agricoltura assume anche la dizione della “Sovranità Alimentare”.

Dizioni che mettono in secondo piano i concetti di libero scambio e di libero mercato, assoggettati a non meglio specificati interessi nazionali.

Sia chiaro: ciascun paese persegue l’interesse nazionale ed è anche per questo che si formano i governi. E purtroppo il governo italiano non è solo in questa deriva nazionalista, visto che la compagnia è folta, dagli Stati Uniti, alla Francia, alla Germania e a molti altri paesi, seppure con forme e modalità più discrete.

Il nazionalismo implica un governo interventista che sappia analizzare tutte le transazioni per poter vagliare quelle che ritiene essere di interesse per la nazione e quelle che invece vanno contrastate. Il risultato di una tale impostazione è quello di intralciare le attività economiche con procedure autorizzative (altro che “abbiamo bisogno di meno regole”) e di infondere incertezza in ogni operazione che potenzialmente potrebbe essere vietata o comunque modificata da un intervento statale.

Già l’Italia aveva introdotto, sin dal 2012, una normativa (golden power) che consentiva al governo di intervenire nelle operazioni riguardanti i settori strategici, in linea con le direttive europee.

Poi, complice la pandemia e successivamente la guerra, questa normativa è cresciuta, sicché oggi, in mano ad un governo nazionalista, come l’attuale, essa costituisce un formidabile strumento di intervento in ogni singola operazione, finendo per rappresentare quell’intralcio generalizzato che smentisce l’ambizione dichiarata di “non disturbare chi vuole fare”, che tanto aveva eccitato i nostri “liberisti immaginari” convinti di trovarsi di fronte al primo governo liberale d’Italia.

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