Si è salvata la democrazia americana? Sembra di sì, e l’eroe nascosto della vittoria di we the people (parole di Joe Biden) non sono i social network, che sembravano averne preso possesso, ma è l’ufficio postale, il vecchio caro post office con cui la democrazia americana è nata, e che la distingueva, secondo Tocqueville, dalla Francia: l’America aveva cinque volte più uffici postali della Francia, nel lontano 1832; nel 1865, in mezzo alla guerra civile, il presidente Lincoln organizzò il servizio di voto postale per tutti i soldati al fronte.

I postini li aspetti e non arrivano, i postini suonano sempre due volte, i cani non ringhiano al postino… i postini hanno salvato la democrazia. Il futuro è loro, se ci pensate, non di Facebook, di Twitter o delle milizie.

La battaglia preveggente

Un breve riepilogo: gli Usa, paese in cui notoriamente si vota poco, hanno portato più di 150 milioni di persone al voto, in mezzo alla più grave epidemia della loro storia. Più di cento milioni di loro hanno votato prima del 3 novembre, e i due terzi di questi hanno votato compilando una scheda elettorale che hanno ricevuto per posta elettronica, o andando a ritrarla all’ufficio elettorale. Una volta compilata la scheda, l’hanno spedita per posta imbucandola in una cassetta delle lettere o l’hanno affidata a uno dei 500.000 impiegati delle poste (vent’anni fa erano 800.000). Ancora, la maggioranza di queste persone ha fatto tutto ciò parecchi giorni prima del 3 novembre.

Durante l’estate, i democratici chiesero di potenziare il servizio postale in previsione di questa scelta elettorale e ben sapendo che il pericolo di contagio avrebbe tenuto molte persone fuori dai seggi.

Ci fu un lungo contenzioso, in cui alcune volte i democratici strapparono aperture al voto postale (per esempio, permettere assunzioni e straordinari), ma altre in cui si trovarono di fronte ad un muro, addirittura a sentenze che imponevano di limitarne l’uso in maniera consistente.

La storia della democrazia elettorale americana non è certo delle più limpide. Fino al 1965 gli stati del sud impedivano il voto agli afroamericani, ancora oggi vengono adottati da stati o anche solo da sceriffi, sistemi di “voter suppression” che rendono praticamente impossibile il voto a categorie “sgradite” di elettori: minoranze, poveri, carcerati o ex carcerati, schedati dalla giustizia, pregiudicati; una cifra particolarmente eloquente: in Florida, per appartenere ad una di queste categorie, sono stati esclusi, da queste elezioni, un milione di persone.

L’alternativa a comizi e social

Ma veniamo al dunque: la campagna di Biden ha puntato molto sul voto postale, già tradizione dei democratici, ed è stata premiata: ha fatto il pieno dei suoi elettori e ne ha aggiunti di nuovi.

Trump ha puntato invece sulla presenza della sua base il 3 novembre, da elettrizzare con una raffica di comizi finali. Due i motivi: uno perché Trump, totale narcisista, è convinto che la sua persona, (il suo Corpo) faccia la differenza; l’altro perché effettivamente quattro anni questa strategia gli diede, insperatamente, ragione.

Tanto per non dimenticare: a dieci giorni dalle elezioni Hillary Clinton era in testa nei sondaggi, con una percentuale però alta, circa il 10 per cento, di indecisi, quando l’Fbi comunicò che era indagata.

La campagna di Trump scatenò i social network con un bombardamento mirato, si chiamava “microtargeting”, invenzione di Steve Bannon e di Cambride Analytica, sugli indecisi, i cui profili erano stati acquistati – illegalmente – da Facebook; Trump  inaugurò la pratica dei comizi barbari in cui la folla urlava “Lock her up!”, Mettila in galera!  e raggiunse quella minima vittoria in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania che lo portò alla Casa Bianca.

Era convinto di poter ripetere l’operazione, ma un po’ perché non si può far tutti fessi per sempre, un po’ perché non ha tolto dal cappello un vaccino o un’accusa di pedofilia per Joe Biden, non è riuscito nell’intento.

La notte del voto è stata così falsata, perché exit polls e prime proiezioni avevano calcolato solo i voti scrutinati quel giorno; i voti postali sono stati quasi ovunque scrutinati dopo. La dimensione del voto postale e il fatto che occorre scrutinare milioni di schede a mano hanno fatto il resto; in pratica, come si dice adesso, hanno cambiato “la narrazione” di una finale di campagna elettorale, che vuole il rush, la sorpresa, il carisma del leader e l’urlo liberatorio del vincente al primo exit poll.

Il tesoro misterioso

Credo che tutti, chi più chi meno, siano stati colpiti dall’ampiezza del fenomeno ed abbiano faticato non poco ad aggiustare il tiro: c’era un tesoro da aprire, e non si sapeva che cosa contenesse, perché non era mai stato particolarmente studiato.

Si sapeva, per esempio, grosso modo, chi aveva richiesto le schede, perché in quasi tutti gli stati gli elettori sono registrati secondo il loro partito di appartenenza, o come indipendenti. Ma, per esempio, non si sapeva quante delle schede richieste erano state restituite, né la composizione sociologica di chi le aveva richieste.

Si sapeva solo che ne avevano richieste di più i democratici, ma non se erano giovani o vecchi, donne o uomini, che cosa avevano votato prima. Devo aggiungere però che, in campo democratico, si sono mostrati più informati sul tesoro nascosto, mentre in campo repubblicano sono sembrati veramente increduli e presi dal panico.

In generale il fenomeno è stato di una tale novità che, secondo me, ancora non riusciamo a capire fino in fondo; ma alcune cose mi sembrano interessanti: queste elezioni hanno segnato una sonora sconfitta del potere dei social network: il postino decide le elezioni, non un algoritmo.

Hanno cambiato la percezione del tempo: la scelta è stata per moltissimi più pensata, più lunga e non imposta da un meccanismo di paura. Hanno dato una diversa dimensione dello spazio e della comunità: i post office sono dovunque, sono servizi pubblici, i postini sono conosciuti e conoscono le persone con cui vivono; i social network fingono di creare una comunità, ma questa è invece fasulla; il conteggio, poi (il vecchio Stalin, che si intendeva di brogli, usava dire: “non importa chi vota, ma chi conta i voti”) è affidato ad essere umani e non a software manipolabili facilmente, come le emissioni di un tubo di scappamento di un diesel.

(Anche in Italia abbiamo questi problemi; per esempio, il maggior partito italiano, peraltro al governo, propugna la democrazia elettronica, prende decisioni su una struttura privata che si chiama Piattaforma Rousseau, e vorrebbe estendere lo stesso metodo a tutte le decisioni pubbliche; oltreché togliere il diritto di voto ai vecchi).

Tutto questo per dire due cose, che mi vengono in mente seguendo l’arrivo dei dati delle elezioni americane. Una è che la blue wave c’è stata davvero, ed è stata un’onda lunga. Due, che più gente vota, più vincono i buoni.

Senza fretta, eh, ma pensiamoci.

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