Amazon sta uscendo dalla pandemia più forte che mai, e non è detto che sia una buona notizia. I conti trimestrali di questi giorni fungono un po’ da bilanci di questo strano biennio pandemico che ha stravolto stili di vita e di consumo: dopo un inarrestabile periodo di crescita, le piattaforme digitali arrancano, Facebook vede addirittura calare i suoi utenti, PayPal sprofonda in borsa, Netflix non riesce a mostrare tassi di crescita degli abbonati che convincano davvero il mercato delle sue prospettive.

Amazon è l’eccezione, perché è sia una piattaforma digitale – che eroga servizi e vende perfino pubblicità – sia la più grande azienda di logistica al mondo, e niente è più fisico che stoccare merci, imballarle e spedirle.

I conti trimestrali appena presentati sono notevoli: ricavi per137,4 miliardi di dollari nell’ultimo trimestre del 2021, utile nette di 14,3 miliardi. Nell’intero 2021 ha visto i suoi ricavi crescere del 22 per cento a 469,8 miliardi per un utile netto di 33,4 miliardi. Non sono questi però i numeri che hanno spinto a un rialzo di oltre il 14 per cento il titolo a Wall Street, ma altri che dovrebbero preoccupare noi clienti.

Amazon ha annunciato un aumento del prezzo del suo abbonamento Prime da 119 a 139 dollari, primo rincaro dal 2018. Si potrebbe dare la colpa all’inflazione, agli aumenti dei prezzi dell’energia che si scaricano anche sulla logistica, ma un aumento del 17 per cento è troppo alto per avere quella spiegazione.

Si tratta di una prova di forza da monopolista, proprio come i libri di testo predicono: quando un’azienda ottiene una quota di mercato così larga che i suoi clienti non hanno vere alternative, inizia ad alzare i prezzi. Certo, perderà qualche cliente per strada, ma estrarrà molto più valore da quelli rimasti. Chi cancellerà davvero la sua iscrizione a Prime, privandosi di vantaggi sulle spedizioni e di tutta l’offerta video, per una differenza di meno di due dollari al mese? Ancora non si sa se i rincari arriveranno pure in Italia.

Il senso della pubblicità

Il secondo numero che è piaciuto ai mercati – e che indica una grande trasformazione in atto – è quello relativo a ricavi pubblicitari, che per la prima volta Amazon ha presentato in modo autonomo, senza annacquarlo nei ricavi totali. In quello che per l’azienda di Jeff Bezos è un settore marginale, cioè la pubblicità, Amazon ha fatturato 31 miliardi di dollari, più dei ricavi annuali di Youtube, che invece esiste soltanto per attirare inserzioni abbinate ai video. L’intero settore della stampa, a livello mondiale, fattura meno pubblicità.

Anche il successo nel vendere pubblicità è una prova del monopolio che dovrebbe preoccupare. Come osserva l’attivista anti-monopoli Stacy Mitchell, «in passato i venditori si affidavano a buone recensioni per far arrivare i propri prodotti sulle prime pagine, adesso devono comprare inserzioni pubblicitarie da Amazon».

In pratica Amazon sfrutta il proprio potere negoziale per costringere i venditori a pagare per poter vendere i propri prodotti. Loro si svenano, noi clienti non ci possiamo più fidare del sistema di raccomandazioni che – come su Google – viene alterato dalla pubblicità. La nostra esperienza complessiva peggiora, ma tanto che alternative abbiamo ormai? Chi può vivere senza Amazon?

Nel complesso Amazon ha incassato oltre 120 miliardi di dollari dalle commissioni pagate dai venditori “parti terze”, cioè quelli che usano Amazon per vendere i propri prodotti spesso in concorrenza con quelli analoghi realizzati da Amazon stessa o con altri contraffatti che Amazon non rimuove. Quello è il valore del monopolio, cui si aggiungono i servizi digitali forniti attraverso Amazon Web Services (Aws) spesso alle stesse aziende che poi devono vendere via Amazon.

Lo strapotere di Facebook potrebbe forse incrinarsi presto, se la reputazione dell’azienda continuerà a peggiorare e i giovani a migrare altrove, ovunque ma non nello spazio digitale dove chattano i loro genitori (la fuga oggi è verso TikTok). Ma come si possa costruire un’alternativa ad Amazon, che ormai è infrastruttura del mercato, produttore, fornitore di servizi e venditore di spazi pubblicitari, è davvero difficile da immaginare.

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