«Non scappano da una guerra», usa dire chi vuole connotare negativamente, e forse anche dispregiativamente, una parte dei migranti che giungono sul suolo italiano. Migranti di serie B, in altre parole, secondo un’indegna graduatoria negli arrivi.

Persone per le quali non può attivarsi alcuna forma di protezione, si dice ancora, aggiungendo che vanno rimandate nei paesi di provenienza. Come se esse non fossero meritevoli di tutela per le condizioni a cui provano a sottrarsi, aspirando a una vita migliore.

Ma davvero non esiste possibilità di salvaguardare chi, pur non fuggendo dalla guerra, fugga comunque da situazioni di estrema difficoltà che gli impediscono una vita dignitosa nel proprio paese, cioè il “minimo sindacale” di diritti umani e civili? Le cose stanno diversamente.

Chi fugge dai cambiamenti climatici

Come ha riconosciuto nel dicembre 2018 il Global Compact per le migrazioni, i movimenti delle persone hanno origine complessa e i cambiamenti climatici possono essere un fattore fondamentale. Una parte dei migranti lasciano il proprio paese a causa degli effetti di tali cambiamenti, vale a dire siccità, inondazioni, desertificazione, contaminazione del suolo e condizioni meteorologiche estreme in diverse aree del mondo.

Situazioni che amplificano le vulnerabilità esistenti in quelle aree, quali povertà, scarsità d’acqua, insicurezza alimentare, diffusione di malattie e conflitti interni, finendo con l’esacerbare le già difficili condizioni di vita degli abitanti.

Tali vulnerabilità, create o aggravate dai fenomeni naturali, tendono a far coincidere la figura del migrante economico, cioè di chi parte per migliorare le proprie condizioni di vita, con quella del migrante ambientale, e ne determinano gli spostamenti sia all’interno del proprio paese sia oltre confine.

I trasferimenti all'interno del proprio paese trovano riconoscimento nei Principi Guida sullo sfollamento interno delle Nazioni Unite del 1998.

Tali Principi qualificano come sfollati interni (internal displaced people) le «persone che sono state costrette a fuggire o a lasciare le loro case o luoghi di residenza abituale, in particolare a seguito o al fine di evitare (…) disastri naturali o causati dall'uomo e che non hanno attraversato il confine di Stato», restando quindi nel paese di origine.

I Principi non hanno valore vincolante, tuttavia forniscono una guida ai Governi e alle organizzazioni intergovernative circa i diritti degli sfollati interni.

Secondo il Global Report on Internal Displacement, pubblicato nel maggio 2022 dall’Internal Displacement Monitoring Center (IDMC), il 2021 ha fatto segnare il record di 59,1 milioni di persone sfollate internamente, 4 milioni in più rispetto al 2020.

«Negli ultimi 15 anni, i disastri naturali hanno provocato la maggior parte degli sfollamenti interni, con cifre annuali significativamente superiori a quelli legati a conflitti e violenze» (nel 2021, 23,7 milioni di sfollati interni per eventi ambientali).

«Con gli impatti attesi del cambiamento climatico e senza un’azione climatica ambiziosa, è probabile che i numeri aumenteranno nei prossimi anni».

È ragionevole attendersi che aumenteranno pure i migranti transfrontalieri: secondo lo studio Ecological Threat Register, redatto nel 2020 dall’Institute for Economics & Peace (IEP), entro il 2050 oltre un miliardo di persone potrebbero spostarsi dai propri Paesi d’origine a causa dell'impatto di eventi climatici. Anche per questo è necessario valutare se i migranti ambientali che oltrepassano i confini possano godere di protezione internazionale.

Cambiamenti climatici e protezione 

(AP Photo/Luigi Navarra)

Una base giuridica cui rifarsi per l’eventuale tutela dei migranti ambientali può essere la direttiva riguardante lo status di rifugiato o di persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria (n. 2011/95/UE, cosiddetta direttiva Qualifiche, recepita in Italia con d.lgs. n. 18/2014).

I migranti climatici potrebbero essere ricompresi tra gli aventi diritto alla protezione sussidiaria, vale a dire coloro i quali, se tornassero nel paese di origine, rischierebbero di subire un “grave danno”.

È vero che, ai sensi dell’articolo 15 della direttiva, tale danno ricorre in caso di condanna a morte o esecuzione, tortura o altra forma di trattamento inumano, minaccia grave e individuale alla vita derivante dalla violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale. Ma la giurisprudenza potrebbe consentire di andare oltre i limiti di tale definizione.

La Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte Edu), avvalendosi dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) - «nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti», norma che corrisponde, in sostanza, all’articolo 15 della direttiva Qualifiche - ha già riconosciuto protezione per danni derivanti da cause naturali.

Ad esempio, l’aggravamento della malattia di un migrante, per mancanza non solo di cure adeguate, ma anche di prospettive di reddito o di una rete sociale in caso di rientro nel proprio paese.

Pertanto, la Corte esclude il rimpatrio non solo per chi possa subire torture o trattamenti disumani a opera dell’uomo, ma anche per chi corra rischi per la propria incolumità derivanti da minacce naturali.

A questo tipo di minacce potrebbero anche essere ricondotti gli eventi ambientali. Il principio generale che si evince dall’interpretazione data dalla Corte Edu potrebbe aprire la strada alla protezione sussidiaria per i migranti climatici transfrontalieri.

Infatti questi ultimi, se rimpatriati, rischiano di incorrere in danni gravi, in termini di privazione di diritti socio-economici, trovandosi privi di cibo, acqua e casa: danni che potrebbero costituire situazioni disumane o degradanti ai sensi della direttiva Qualifiche.

Per riconoscere effettivamente questo tipo di tutela - in mancanza della volontà degli Stati membri di ricomprendere espressamente i migranti ambientali tra i destinatari di protezione internazionale, attraverso una modifica della direttiva Qualifiche – sarebbe comunque necessaria una pronuncia della Corte di Giustizia europea.

La normativa italiana

Summaya Kianat, a friend of a women's field hockey player Shahida Raza who died in the shipwreck tragedy, shows the medals, certificates and other stuff of Raza to media at her home, in Quetta, Pakistan, Thursday, March 2, 2023. Raza was among other migrants who died in a shipwreck off Italy's southern coast. The migrants' wooden boat, crammed with passengers who paid smugglers for the voyage from Turkey, broke apart in rough water just off a beach in Calabria before dawn on Sunday. (AP Photo/Arshad Butt)

L’Italia, tra gli Stati europei, ha oggi una delle normative che meglio consentirebbero la tutela dei migranti climatici. Il primo decreto Sicurezza di Matteo Salvini (d.l. 113/2018) permetteva una protezione speciale in caso di calamità «eccezionale e contingente», escludendo così tutti gli eventi naturali a lenta insorgenza o prevedibili e continui, come la siccità o le sempre più frequenti esondazioni, causate dalla mutazione della frequenza e dell’intensità delle precipitazioni, che mettono a rischio la sopravvivenza delle persone in molte aree del pianeta.

La norma è stata poi modificata nell’ottobre 2020: le parole «eccezionale e contingente» sono state eliminate, sostituendole con la previsione di una calamità «grave».

La norma attuale, più ampia di quella precedente, consente pertanto di fornire protezione speciale ai migranti che fuggono non solo da situazioni transitorie di calamità naturali (ad esempio, un terremoto), ma anche da condizioni climatiche stabili (ad esempio, la siccità) che determinano l’impossibilità di soddisfare diritti essenziali.

È vero che questori e giudici, chiamati all’applicazione della norma, valutano discrezionalmente la ricorrenza delle situazioni che legittimano la concessione del permesso di soggiorno per motivi ambientali, secondo criteri più o meno stringenti. 

Ma la possibilità di ottenere protezione per tali motivi, se si fugge alla ricerca di condizioni di vita migliori, in Italia è già prevista dall’ordinamento. È solo nella narrazione della politica che i migranti climatici/economici continuano a essere considerati persone prive di qualunque forma di tutela.

Ci si chiede se ciò sia solo frutto di ignoranza o se vi sia il deliberato disegno di privare anche di dignità, oltre che di tutela, chi provi ad arrivare nel nostro paese. Qualunque risposta sarebbe comunque sconfortante.

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