Con la multa da oltre un miliardo di euro comminata dall’Autorità Antitrust ad Amazon per abuso di posizione dominante, l’Italia diventa uno dei principali campi di battaglia dove si combatte la guerra per il destino del capitalismo occidentale nell’età delle piattaforme.

Amazon, come Google, Facebook, l’App Store di Apple e tutte le altre piattaforme, è un’azienda americana, ma il fatto che abbia anche controllate europee la espone alla giurisdizione delle autorità antitrust dell’Unione europea e dei singoli stati membri. Che hanno smesso da tempo di essere soltanto spettatori della transizione del mercato dal mondo fisico a quello digitale e iniziano a voler dettare le regole.

La dottrina Khan 

Lina Khan (Graeme Jennings/Pool via AP)

Il provvedimento di 250 pagine e due anni di lavoro dell’Autorità per la garanzia della concorrenza guidata da Roberto Rustichelli non è la classica sanzione per irregolarità commesse ai danni dei consumatori, ma è una sfida filosofica (e regolatoria) al modello imposto da Jeff Bezos alla distribuzione di beni fisici e digitali attraverso la piattaforma e alle dottrine che hanno regolato l’antitrust negli ultimi quarant’anni.

Dottrine molto comode per le grandi imprese ma ora rimesse in discussione, con la nomina di Lina Khan alla guida di una delle agenzie Antitrust americane, la Federal Trade Commission. 

A 27 anni, Khan si era fatta una reputazione come giurista denunciando il “paradosso antitrust di Amazon” , cioè un crimine senza vittime apparenti: Amazon si è messa al centro della logistica, offre servizi un tempo frammentati tra mille soggetti, è una vetrina, è un magazzino, è un servizio di spedizioni, ma è anche un concorrente che in vetrina mette i propri prodotti in competizione con quelli dei produttori ai quali ha fatto pagare a caro prezzo lo spazio di visibilità.

Con la dottrina tradizionale elaborata dalla vecchia “scuola di Chicago”, non c’è niente di esecrabile: i prezzi per i consumatori sono bassi, il servizio eccellente, la concorrenza tra venditori spietata, Amazon cresce e accentra servizi e quote di mercato perché è più efficiente di tutti.

Eppure, questo il paradosso, un simile trionfo dell’efficienza mette a rischio la struttura stessa del mercato, ne corrode le fondamenta che prevedono competizione e trasparenza.

I servizi di magazzino

(AP Photo/Jens Meyer)

L’Antitrust italiana ora si schiera con Lina Kahn e una multa da un miliardo di euro ha un’entità tale che perfino Jeff Bezos, l’azionista di controllo e uomo più ricco del mondo, avrà qualche ragione di preoccuparsi. Non soltanto per l’ammontare, ma per il processo di analisi e decisione seguito dall’autorità guidata da Rustichelli.

Che in estrema sintesi è questo: le aziende che vogliono vendere i loro prodotti su Amazon possono usare la piattaforma come una semplice vetrina, in gergo un “marketplace” dove mostrare i propri prodotti a chi li cerca.

Oppure possono “comprare” da Amazon altri servizi connessi: dalla pubblicità per fare in modo che quando il cliente cerca “cavatappi”, per esempio, appaia proprio un certo modello di cavatappi (come succede su Google), ai servizi di cloud a sostegno del proprio business (con Amazon Web Services) fino alla gestione del magazzino, delle spedizioni e dei resi con il ramo Fba, Fulfilled by Amazon.

I servizi di magazzino,  invisibili per noi clienti finali, sono tra le cose più delicate da gestire per le imprese, soprattutto se medio-piccole, perché hanno alti costi fissi e possono diventare fonte di enormi problemi se si sbagliano le previsioni o se non si è in grado di gestire le oscillazioni nella domanda: scorte troppo elevate assorbono cassa, “rotture di stock”, cioè trovarsi senza prodotti disponibili quando i clienti li ordinano, significa perdere opportunità di ricavi che poi non si ripresentano.

Soprattutto per chi cerca di uscire dalla nicchia locale e sfruttare le potenzialità del web per raggiungere nuovi mercati, ha bisogno di partner più grandi per le attività di imballaggio, etichettatura, spedizioni, aggiornamento in tempo reale delle disponibilità, gestione del magazzino…

Esistono alcune aziende che offrono pezzi di questa catena e che si sono evolute nella transizione del commercio da fisico a online: Geodis per i magazzini, corrieri come Tnt, Bartolini, Poste, FedEx hanno cambiato il loro modo di lavorare per gestire spedizioni che partono dall’e-commerce, invece che da singoli individui che vanno in un ufficio con un pacco sotto braccio.

Ma nessuna azienda offre tutto questo, insieme, nessuna a parte Amazon.

E già questo meriterebbe un occhio di attenzione da parte dell’autorità antitrust, anche Amazon finisce per diventare il principale cliente di suoi potenziali concorrenti in alcuni campi, tipo gli spedizionieri, e così ogni ipotesi di concorrenza scompare.

Ma fin qui potrebbe semplicemente essere che Amazon è più brava degli altri, ha integrato servizi e fatto sinergie, in modo da risultare più competitiva come partner unico per imprese che altrimenti devono interagire con vari soggetti per i diversi passaggi della logistica.

Invece Amazon si impone sulla concorrenza perché sfrutta la sua natura di piattaforma integrata, cioè, questa in sintesi l’accusa dell’Antitrust italiana, costringe le imprese a usare i servizi di logistica del ramo Fba se non vogliono essere penalizzate sulla vetrina che mostra i prodotti, cioè il marketplace.

Chi paga i servizi di Fba di Amazon può avere il meglio dell’esperienza del marketplace: maggiore visibilità, la Buy Box, cioè quel riquadro a destra del prodotto che incentiva l’acquisto immediato senza vedere prima le altre offerte concorrenti, e poi la visibilità nelle promozioni del Black Friday e del Cyber Monday, l’idoneità per la spedizione gratuita via Amazon…

Dov’è il problema, diranno i liberisti ideologici? In fondo le aziende possono scegliere se acquistare quei servizi oppure no.

Il mercato distorto 

zz/STRF/STAR MAX/IPx

In realtà, il fatto che Amazon controlli la piattaforma e possa disporne a suo piacimento, ha come risultato una specie di ricatto: o affidi ad Amazon anche i servizi di magazzino, oppure venderai meno prodotti, perché il marketplace nasconderà i tuoi prodotti invece di esibirli (cioè li renderà meno visibili rispetto a quelli di imprese equivalenti e concorrenti che però pagano i servizi di Fba).

Amazon contesta le decisioni dell’Antitrust e annuncia ricorso, i suoi argomenti si riassumono in questa dichiarazione: «Più della metà di tutte le vendite annuali su Amazon in Italia sono generate da piccole e medie imprese, e il loro successo è al centro del nostro modello economico. Le piccole e medie imprese hanno molteplici canali per vendere i loro prodotti sia online che offline: Amazon è solo una di queste opzioni».

Quello che sostiene l’Antitrust, e con molti argomenti, è che tutto il modello di business di Amazon è costruito per spingere le imprese a non avere alternativa a usare il suo marketplace e tutti i suoi servizi accessori. 

I costi aggiuntivi che questo comporta per le aziende vengono scaricati poi sui clienti come prezzi più alti o suoi soci come utili e dividendi più bassi. Ma soprattutto, questa l’accusa dell’Antitrust che segna una svolta culturale, le pratiche di Amazon riducono la concorrenza possibile nel mercato e questo è un danno per tutta la società.

La guerra per il futuro del capitalismo occidentale sarà lunga, ma quella sul campo italiano è una battaglia cruciale.

© Riproduzione riservata