Un volto, una garanzia di conflitto di interessi. La popolarità del groviglio affaristico e politico incarnato nella figura di Antonio Angelucci ha ormai varcato i confini nazionali. A tal punto da scegliere una sua foto per illustrare articoli in cui si parla della libertà di informazione in pericolo in Europa. Gli allarmi contenuti nei report internazionali sullo stato del giornalismo nel nostro Paese sono ricchi di spunti che conducono a una scelta quasi obbligata: l’immagine di Angelucci come simbolo dell’intreccio tra affari privati, informazione e politica.

È così che il quotidiano britannico The Guardian, nell’anticipare i risultati del Liberties Media Freedom Report 2025, ha scelto il ritratto del parlamentare della Lega, ras della sanità privata e padrone di tre giornali che fanno da cassa di risonanza al governo di Giorgia Meloni. Nell’ultimo report si cita un precedente studio nel quale Domani è indicato tra i principali obiettivi degli attacchi degli esponenti del governo e anche della magistratura, che su richiesta dei politici si è messa a indagare sulle fonti dei giornalisti. Anche questa segnalata come anomalia senza precedenti per uno Stato fondatore dell’Unione europea.

Come anomalo, appunto, è il caso citato nel report dell’organizzazione Civil Liberties Union for Europe, relativo al tentativo da parte delle holding di Angelucci di acquisire l’agenzia di stampa Agi, di proprietà di Eni, la società petrolifera controllata dal governo italiano. Per il re del conflitto di interessi sarebbe stata la quarta testata di peso a finire tra le sue mani: dopo Libero, il Giornale e Il Tempo, ecco l’Agi.

Un cortocircuito notevole: il patron di tutta questa bella compagnia è un parlamentare di maggioranza, che avrebbe così comprato l’agenzia di stampa di proprietà di una società partecipata dall’esecutivo. Angelucci, molto ben voluto dalla premier, ha interessi milionari nella sanità privata, che beneficia di denaro del sistema sanitario nazionale e che si diletta a scegliere il suo presidente di regione ideale, come nel caso di Francesco Rocca a governatore del Lazio. Superfluo dire quanto sia importante la Regione per chi si occupa di salute privata accreditata con il pubblico. Questo giornale ha dedicato numerosi articoli alle cifre mostruose incassate dalle cliniche di Angelucci grazie agli accreditamenti con le strutture pubbliche laziali, che vivono del bilancio della sanità regionale.

La commistione tra interessi pubblici e privati, tra politica e business personale, non riguardava solo Silvio Berlusconi. L’assenza di paletti a fare da argine al conflitto di interessi è una questione ancora aperta. E lo è anche per l’incapacità delle opposizioni, di allora e di oggi, di affrontare il problema. Che poi, forse, non dovrebbe essere una pratica di parte: non è nell’interesse di tutti sminare il campo da tali commistioni? La trasparenza ha forse un colore politico? Non è un diritto di tutti i cittadini, siano essi elettori di Meloni o di chiunque altro?

Angelucci ha usato spesso i suoi giornali come un clava. C’è traccia di questo uso politico in alcuni atti giudiziari che Domani ha pubblicato ormai un anno fa. Angelucci era indagato per un tentativo di corruzione ai danni di Alessio d’Amato, assessore alla sanità laziale della giunta Pd. Alla fine è stato prosciolto, tuttavia alcuni elementi contenuti nel fascicolo vanno al di là delle responsabilità penali, hanno piuttosto a che fare con un metodo collaudato: «Da molte settimane il quotidiano “Il Tempo” stava conducendo una campagna stampa diffamatoria nei miei confronti… Egli ha replicato a queste mie parole riferendomi che gli Angelucci potevano immediatamente far modificare l’atteggiamento del predetto organo di stampa e in un attimo far scrivere bene di me».

La testimonianza è dell’ex assessore D’Amato. “Bastonato” con la clava dell’editore, parlamentare e sovrano della cliniche private, che si è votato persino il condono fiscale utilizzato poi dal suo gruppo imprenditoriale. Angelucci, il parlamentare più ricco di tutti, ama vincere facile. Certo, il Paese crolla nelle classifiche della libertà di informazione. Ma a chi importa?

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