Hai voglia a ripetere che la filosofia è una disciplina astratta; oggi sembra che l’intero dibattito pubblico giri sempre di più attorno a questioni filosofiche. Filosofia politica: quali sono le prerogative dello stato? Filosofia morale: quali valori muovono i gruppi sociali? E persino ontologia, la scienza dell’essere: che cosa significa essere una tal cosa, e come classifichiamo la totalità delle cose?

Basti pensare al problema del genere: prima di diventare il pomo della discordia in un aspro conflitto tra visioni del mondo, il genere era una categoria della filosofia platonica e aristotelica, uno dei primi strumenti per mezzo dei quali l’umanità ha iniziato a ordinare il mondo. Nei secoli successivi, l’ontologia è stata il terreno di aspri scontri — non tanto dissimili da quelli che viviamo oggi.

Sostanze e categorie

C’è qualcosa là fuori, si chiama realtà: un continuum di cose che sfumano le une nelle altre. Poi arriviamo noi animali razionali e ritagliamo quella massa informe, nominando e classificando, individuando e generalizzando, in funzione dei nostri bisogni concreti: nutrirci, ripararci, comunicare, sopravvivere.

Nel magma delle differenze abbiamo scelto quelle che ci tornavano più utili, e tra esseri umani diversi per taglia, forma, colore, molti secoli fa abbiamo distinto in funzione del sesso, per ovvie ragioni riproduttive. Il genere è, secondo Aristotele, quell’elemento comune (qui un pene o una vagina) che permette di accorpare delle sostanze individuali (le singole persone) in una categoria (maschi, femmine). Alla base c’è appunto l’idea il mondo sia popolato da queste sostanze indeterminate, sulle quali vanno ad aggiungersi, come gli optional di un’automobile o l’armatura di Iron Man, degli accidenti che le determinano.

Perché Aristotele s’inventa questo sistema farraginoso? Per spiegare il divenire: la sostanza delle cose permane, gli accidenti vanno e vengono. Così le cose possono facilmente passare da un genere all’altro: da giovane a vecchio, ad esempio.

E da donna a uomo? Aristotele non si pronuncia sull’argomento, ma sul piano ontologico non avrebbe nulla da obiettare. È interessante notare come le sue categorie, rilavorate dai teologi medievali, siano servite a spiegare un “cambiamento di genere” (anzi di sostanza) particolarmente controverso: quello del pane e del vino durante la messa, trasformati in corpo e sangue di Cristo. È un errore comune, anche presso alcuni cattolici contemporanei, ritenere che l’ostia consacrata sia un semplice simbolo della passione, quando invece la dottrina precisa che la presenza divina è “reale e sostanziale”. Ma è ugualmente un errore, di fronte a chi crede che quel pezzo di pane sia il Salvatore, concludere che si tratti di una superstizione o di un disturbo mentale, poiché si tratta invece di una credenza del tutto logica all’interno delle regole fissate dall’ontologia scolastica. Sull’altare c’è realmente la sostanza di Gesù Cristo, ma privata di tutti i suoi accidenti sensibili: forma, taglia, aspetto. Al suo posto ci sono gli accidenti del pane e del vino, le cosiddette specie eucaristiche. Insomma è come se Iron Man si presentasse, invece che con la sua armatura, all’interno di una gigantesca crosta di pane. È quella che si chiama transustanziazione, e venne formalizzata al Concilio di Trento. Chi rifiutava di accettarla, come Martin Lutero, venne condannato.

Il fatto che l’ontologia aristotelica permettesse, se portata alle sue estreme conseguenze, di costruire tali eccentriche cattedrali argomentative non fu estranea alla crisi che la stroncò nel Seicento. La scienza moderna portò in dote una nuova ontologia, più orientata all’esperienza diretta, più efficace per studiare la vita, la materia, gli astri. Eppure restiamo aristotelici quando, ragionando con un lessico e una grammatica segnati da quelle antichissime riflessioni, ci sforziamo di distinguere in ogni cosa tra quello che è sostanziale e quello che non lo è. Di ontologia non ce n’è una sola, ma tante quante sono le necessità di comprensione del mondo, ed è la ragione per cui talvolta entrano in conflitto. Lutero fu condannato per un dissenso ontologico: più che non credere all’eucaristia, lui da feroce anti aristotelico non credeva alla definizione di sostanza. Ed è ancora un dissenso ontologico a dividerci oggi: tale persona è una donna con gli accidenti di uomo, o un uomo con gli accidenti di una donna? In assenza di un nuovo Concilio di Trento, faremmo meglio a ricordarci che le ontologie sono soltanto degli strumenti di classificazione.

© Riproduzione riservata