Per fortuna la fase della storia italiana in cui si delegittimava l’avversario politico con la violenza, fisica o verbale, è finita da un pezzo.

Ma qui stiamo passando da un estremo all’altro: la processione di leader - di destra, di centro, di sinistra – alla festa di Fratelli d’Italia è sembrata più un omaggio al leader in ascesa, Giorgia Meloni, piuttosto che una cortese apertura al dialogo istituzionale.

Da Matteo Salvini a Enrico Letta a Giuseppe Conte, fino a Mario Draghi, sia pure a distanza e con più distacco istituzionale, tutti si contendono le attenzioni di Meloni che sarà importante nella partita del Quirinale a gennaio, cruciale per stabilire se la legislatura continuerà nel caso Draghi vada al Colle e, in caso di elezioni anticipate, potrà eleggere molti parlamentari nuovi e forse puntare a palazzo Chigi.

Eppure, è sempre Giorgia Meloni. Possibile che ai Cinque stelle siano richiesti da sempre gli esami del sangue per misurare il grado di presentabilità mentre Fratelli d’Italia si ripulisce nel lavacro dei sondaggi positivi senza penitenza?

Si tratta pur sempre di un partito sotto inchiesta dalla procura di Milano per il sospetto di finanziamento illecito. Che ha portato nel consiglio comunale milanese una come Chiara Valcepina, sostenuta dai saluti romani della lobby neonazista denunciata da Fanpage.

E Giorgia Meloni è quella che trasforma la sua fede e perfino la sua maternità in uno strumento contundente («Sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana») contro chi non si allinea alla sua idea reazionaria, più che antica, di società e famiglia.

Oggi Giorgia Meloni prende sul serio che Silvio Berlusconi faccia il presidente della Repubblica. Nel 2011 «è stato mandato casa dalle consorterie europee perché non firmava trattati poi firmati da Mario Monti, quindi ha difeso l’interesse nazionale», ha detto ieri.

In una sola frase è riuscita a dare del golpista a Monti e all’ex presidente Giorgio Napolitano, a evocare i complotti massonici che piacciono ai No-vax, e a riscrivere la storia, visto che Berlusconi si è dovuto dimettere perché la sua scarsa credibilità come premier faceva scappare gli investitori dal debito pubblico italiano, col risultato che il paese era sull’orlo della bancarotta. Cari frequentatori della festa di Atreju, giornalisti inclusi che sfilano magari sperando in un posto in Rai nella prossima tornata di nomine, ma veramente volete legittimare una così?

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