Assolto perché il fatto non sussiste. Attilio Fontana incassa il proscioglimento per il caso camici anti Covid, non sarà processato. La decisione arriva pochi mesi dopo la decisione del giudice di archiviare anche l’indagine sui conti svizzeri del presidente leghista. Due storie collegate tra loro.

La vicenda riguardava una partita di camici forniti dalla società del cognato e della moglie di Fontana ad Aria, la stazione appaltante della regione. Dopo che la notizia era diventata di dominio pubblico sollevando un enorme conflitto di interessi, i protagonisti avevano deciso di trasformare la fornitura in donazione.

Fontana, tuttavia, aveva tentato di effettuare un bonifico da 250 mila euro (come rivelato da Domani a luglio 2020) diretto alla società del cognato e della moglie per “risarcirli”. Il denaro proveniva dal conto svizzero del presidente di cui non si conosceva l’esistenza. Il pagamento dal deposito personale di Fontana però non partì mai, perché la fiduciaria che gestiva il conto in Svizzera aspettava alcuni documenti mai arrivati. Da qui le due indagini parallele.

La prima sui camici e l’ipotesi di reato di frodi in pubbliche forniture: prosciolto. La seconda sull’origine dei 5,3 milioni depositati sul conto estero: archiviata, il tesoretto era un’eredità della madre dentista che lui nel 2015 aveva regolarizzato con lo scudo fiscale, però aveva deciso di lasciarlo fuori dall’Italia e questo ha comportato una difficoltà maggiore per gli inquirenti che indagavano in quanto le autorità svizzere non hanno risposto alle rogatorie. Per questo alla fine i magistrati hanno chiesto l’archiviazione e il giudice ha dato parere positivo. Tutto risolto, dunque, Fontana non ha commesso alcun reato. 

«Sono abituato alle strumentalizzazioni politiche... Sono stato accusato, infamato, oggetto di critiche strumentali che il tempo galantuomo ha smontato. Con la sentenza di oggi si chiude un capitolo personale che ristabilisce la verità delle cose», ha commentato Fontana subito dopo la decisione del giudice.

Tuttavia due fatti sono indiscutibili: il presidente della regione ha ancora un conto in Svizzera, non si conosce l’origine delle provvista perché gli svizzeri non hanno collaborato con i pm italiani, la fornitura di camici di famiglia era reale tanto che Fontana stava per effettuare un bonifico di tasca propria.

La vittoria giudiziaria è bastata ai leghisti per esultare in corso. «Sono felice per Attilio Fontana, che finalmente vede riconosciuta la sua innocenza in una vicenda molto complicata dove ha sempre agito per il meglio e pensando al bene dei cittadini lombardi in una delle fasi più critiche della pandemia. Non ho mai avuto dubbi sull’onestà e la correttezza di Attilio al quale faccio, di cuore, i migliori auguri anche per i prossimi 5 anni di sviluppo della Lombardia», la battuta a caldo del ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti nonché numero due del partito e varesino come Fontana.

È probabile che verrà eletto di nuovo portando in dote il mistero del tesoro svizzero. Perché siamo fatti così, in Italia ormai si esprimono giudizi politici solo nelle aule dei tribunali. Il resto non conta. 

Chi ricopre un incarico pubblico, tuttavia, è giudicato non tanto per ciò che accade nei tribunali o per le indagini che subisce. Piuttosto dovrebbe rispondere dei comportamenti poco opportuni che non sono codificati dal codice penale.

Avere un conto all’estero non sarà reato, ma di certo è una questione di trasparenza per un uomo delle istituzioni spiegare in che modo quei soldi sono lievitati dal 1997 a oggi. Oltretutto, ricordiamolo, sul primo di questi conti il presidente aveva la delega a operare seppure fosse intestato alla madre.

E forse dovrebbe spiegare ai cittadini per quale motivo dopo lo scudo fiscale quel deposito è ancora in Svizzera, amministrato da una fiduciaria, e non è stato portato in Italia dove c’è maggiore trasparenza bancaria. Qual è il motivo, Fontana non gradisce una comoda e banale filiale sotto il palazzo della regione che amministra o vicino casa?

Lo stesso vale per i camici. Fontana non ha violato alcun articolo del codice penale. Ma il conflitto di interesse, che non è per forza di cose reato, è evidente: è sgradevole che un’azienda, di cui è socia la moglie, tenti di fare affari con l’ente governato dal marito.

È vero che in questo paese la soglia di ciò che non dovrebbe essere considerato normale si è abbassata sotto lo zero, non ci stupiamo più e vent’anni di berlusconismo hanno assuefatto le coscienze. Ma in un altro paese dell’Europa un conto in svizzera e i camici del cognato avrebbero portato alle dimissioni e probabilmente a nessuna inchiesta giudiziaria. L’etica e l’opportunità, prima di indagini e processi. Due principi, che dovrebbero essere le stelle polari della politica.

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