L’elenco dei patti di cooperazione siglati dalle potenze occidentali in funzione anticinese include ora l’AUKUS, l’alleanza il cui acronimo è formato dalle sigle dei paesi firmatari, vale a dire Australia, Regno Unito e Stati Uniti. L’annuncio è stato dato dal presidente americano Joe Biden, in collegamento virtuale con il primo ministro australiano Scott Morrison e con quello britannico Boris Johnson.

A dispetto delle rassicurazioni giunte dall’amministrazione americana, secondo cui la creazione dell’alleanza non deve essere vista come un deterrente nei confronti di nessun paese specifico, è difficile ritenere che Biden non si riferendo alla Cina quando ha parlato della necessità di difendersi dalle “minacce in rapida evoluzione” nella regione.

I tre paesi hanno deciso di dare vita ad una stretta cooperazione in vari settori, come l’intelligenza artificiale, la cybersicurezza e la difesa navale: proprio in quest’ultimo ambito verrà offerto agli australiani sostegno tecnologico per lo sviluppo di sottomarini alimentati da un reattore nucleare. 

Solo sei, infatti, sono i paesi – a cui da qualche giorno sembra essersi aggiunta la Corea del Sud – che possiedono tali sottomarini, più “performanti” in termini di velocità ed efficienza e soprattutto difficili da rintracciare con i tradizionali rada.

Gli scontenti

La scelta ha aperto una breccia nei rapporti tra le potenze occidentali, visto che l’Australia ha cancellato un accordo con la Francia per la fornitura di alcuni sottomarini tradizionali: per questo motivo il ministro della Difesa francese, Le Drian, si è scagliato contro Canberra e gli Stati Uniti, i quali, a suo dire, hanno tenuto fuori gli europei dall’alleanza, «pugnalandoli alle spalle» come era solito fare Donald Trump.

Se il progetto legato ai sottomarini dovesse trovare attuazione, la Cina sarebbe costretta a fare i conti anche con la possibilità di trovarsi la marina australiana libera di “scorrazzare” nel Mar cinese meridionale, una zona ad altissimo rischio a causa delle dispute territoriali.

Nonostante la loro assenza dall’alleanza, anche taiwanesi e giapponesi hanno accolto con  soddisfazione la notizia della nascita del patto.

La reazione di Pechino non si è fatta attendere, visto che Zhao Lijian – portavoce del ministero degli esteri cinese – ha rimbrottato i tre membri dell’AUKUS per la loro mentalità «da guerra fredda».

Nonostante Biden abbia sostituito Trump alla Casa Bianca, il tono delle relazioni tra Pechino e Washington non è cambiato: anche l’attuale amministrazione, ha più volte richiamato l’attenzione sui presunti abusi ai danni degli uiguri musulmani nella provincia dello Xinjiang, sulla violazione delle libertà dei cittadini di Hong Kong, sulla gestione della pandemia, e sui comportamenti “arbitrari” che la Cina ha assunto in ambito commerciale.

Biden non ha ovviamente chiuso alla collaborazione con Pechino, ribadendo però come ciò sia possibile solo in alcuni ambiti specifici, come la lotta alla pandemia Covid-19 o al cambiamento climatico.

Gli Stati Uniti e l’Australia, insieme all’India e al Giappone, peraltro, sono membri del “dialogo strategico” quadrilaterale – meglio conosciuto come “Quad” – i cui esponenti si sono dati appuntamento alla Casa Bianca proprio tra qualche giorno.

Il segnale sembra inequivocabile: una  “chiamata a raccolta” dei più intimi alleati degli Stati Uniti al fine di ergere un muro compatto contro le spallate cinesi, nonostante la diversità di opinioni sulla “durezza” della risposta.

Biden ha una posizione diversa da quella di Trump, il quale aveva concentrato le sue attenzioni quasi esclusivamente sul difficile rapporto commerciale ed economico con Pechino.

Biden si concentra sulle sfide di natura geopolitica e su temi che, nella visione di Pechino, scavalcano la “linea rossa” rispetto alla quale la leadership cinese sembra non voler fare alcuna concessione.

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