Si perpetua, nell’indifferenza delle istituzioni, l’indegno abbandono di cui sono vittime innocenti il 90 per cento delle persone autistiche (circa seicentomila in tutta Italia), che vivono in questo sciagurato paese, dove non si esita a finanziare l’industria delle armi, favorendo l’escalation bellica, e contestualmente si tagliano le risorse, già fin troppo esigue, da destinare alla scuola, alla sanità e al welfare. A quei comparti, cioè, che qualificano il livello di civiltà di uno stato!

Sul territorio la regola è trovarsi davanti a servizi che rappresentano comode nicchie in cui grigi funzionari vivacchiano alla bella e meglio, tra uno sbadiglio e l’altro, fingendo di prestare ascolto a chi chiede solo di essere aiutato. Si tratta di una vera e propria casta inamovibile. Impermeabile a ogni critica e a ogni suggerimento.

È questo, naturalmente fatte salve sparute e apprezzate eccezioni, il fragile retroterra con cui i familiari quotidianamente devono fare i conti. È questa la debole impalcatura sulla quale va in scena, ogni giorno, per 365 giorni all’anno, da decine di anni, una mediocre commedia la cui regia è affidata, dalla politica, a sprovveduti personaggi che, in una sorta di imbarazzante melina, si ritagliano il comodo ruolo di meri erogatori economici di programmi e contenuti la cui gestione è poi colpevolmente lasciata all’esclusivo monopolio dei partner privati, e cioè alle cooperative. Quelle, per intenderci. che in molti casi sfruttano, con turni di lavoro massacranti e salari indecorosi, i propri dipendenti, salvo passare impettiti all’incasso di rette mensili che nei residenziali viaggiano intorno a 6.000 euro per utente.

Una visione sbagliata

I servizi sono, a pieno titolo, complici di un sistema in cancrena, in cui vige un fare estemporaneo e votato al ribasso, sprovvisto di pianificazione ragionata e intelligente, governato da una odiosa improvvisazione gestionale e terapeutica, e da una visione meramente assistenziale della disabilità, che produce danni incalcolabili per i nostri figli, con il rischio di perdita di autonomie e abilità faticosamente raggiunte e abusi farmacologici.

Inimmaginabile, in questo contesto di complicità, pensare a una presa in carico globale e interdisciplinare e a un progetto di vita individualizzato: sono queste le vere priorità! Senza un deciso cambio di passo, senza una sostanziale inversione di tendenza, è giocoforza attendersi persino un peggioramento del quadro generale.

Questo indispensabile cambio di passo può partire solo e soltanto dalle famiglie. Dalla loro voglia di non rassegnarsi. Di ribellarsi di fronte alla latitanza di servizi e istituzioni brave solo a fare passerella mediatica. Di dire basta a soprusi, sopraffazioni, vessazioni.

Bisogna ripartire dalla consapevolezza che il destino dei nostri figli è prima di tutto nelle nostre mani. Dalla necessità che siano proprio le famiglie a imporre l’agenda delle priorità alla politica, e non viceversa (come non usare la parola “ignominia” davanti a 630 fannulloni che bivaccano tra Camera e Senato, senza trovare il tempo di scrivere una legge ad hoc sui caregiver?).

Occorre prendere consapevolezza che il “sistema autismo” è tutto da rifondare. Impossibile, dopo le prove di dabbenaggine alle quali la politica ci ha abituato, pensare a rattoppi che sarebbero peggiori del buco (della voragine) che si è aperto.

Denunciamo i responsabili di questo degrado in tutte le sedi, nazionali e internazionali, quando sono inadempienti persino nell’applicazione di leggi esistenti (penso in particolare alla 328 sul progetto di vita, alla 68 sul lavoro, alla 134 sull’autismo, alla 112 su “Dopo di noi”). Non dobbiamo aver paura di farlo!

I nostri figli non sono numeri né fascicoli o scartoffie da esibire su una scrivania tre quattro volte all’anno, per far finta che ci si occupa di loro. Sono invece, innanzitutto, persone che chiedono solo di vivere, non di sopravvivere, ed è questa – incredibilmente - per molti nullafacenti strapagati, la loro principale colpa. Abbiamo il dovere di batterci affinché queste persone vivano con dignità e decoro la loro vita, al pari di qualunque altro essere umano.

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