Nel 2014 per Matteo Renzi il prezzo della vittoria alle elezioni europee, le prime e ultime da presidente del Consiglio, era costata 10 miliari di euro all’anno, con il bonus 80 euro. Joe Biden cerca di comprare il successo dei Democratici alle elezioni di metà mandato di novembre, decisive in vista del 2024, con 300 miliardi di dollari per cancellare una parte dell’enorme debito che grava sugli studenti universitari.

La scala è diversa, ma la logica è la stessa: una misura dal discutibile impatto sociale ed economico che però ha un immediato riscontro nelle urne.

Nessuno nega l’entità del problema: 45 milioni di americani sono zavorrati da 1600 miliardi di dollari di debiti contratti per pagare college, università, business school, scuole di legge e altro.

Questo carico implica bassa disponibilità economica nella fase della vita – inizio carriera, l’arrivo dei figli – nella quale invece servirebbero più soldi in tasca. E poi c’è l’impatto sulle scelte di carriera: in tanti devono puntare sui lavori a più alta retribuzione, invece che su quelli più coerenti con la propria formazione, interessi o valori, per evitare di soccombere alle rate.

Biden ha annunciato di voler cancellare fino a 10.000 dollari per gli studenti indebitati che hanno redditi inferiori a 125.000 dollari e fino 20.000 per quelli che appartengono alle fasce più basse di reddito. Una misura progressista e inclusiva? Tutto il contrario, gli effetti collaterali e le iniquità che produce sono molto superiori ai benefici.

A parte che in poche città che hanno un costo della vita molto elevato – tipo New York o San Francisco – redditi da 125.000 dollari annui non sono certo bassi negli Stati Uniti. Chi guadagna quelle cifre non è certo in lotta per la sopravvivenza e nella classifica dei potenziali beneficiari di aiuti pubblici dovrebbe stare piuttosto in basso: gli studenti universitari sono una minoranza relativamente privilegiata rispetto ad altre (per esempio chi non ha qualifiche) e redditi di quel genere sono di una minoranza nella minoranza.

Tra i diplomati del programma in business administration dell’Università di Chicago, una delle più note, soltanto la metà degli ex studenti 2021 guadagna più di 155.000 dollari annui.

L’effetto sull’inflazione

President Joe Biden speaks about student loan debt forgiveness in the Roosevelt Room of the White House, Wednesday, Aug. 24, 2022, in Washington. Education Secretary Miguel Cardona listens at right. (AP Photo/Evan Vucci)

C’è poi un problema macro-economico: nel pieno di una crisi da inflazione, un beneficio una tantum a contribuenti a reddito medio-alto è l’ultima cosa da fare. Nel migliore dei casi risparmieranno un po’ e investiranno in azioni, nel peggiore si concederanno una vacanza extra o cambieranno l’auto, con un aumento della domanda che spingerà i prezzi ancora più su.

Tra i critici di Biden c’è poi chi nota che, più che un aiuto agli studenti, è un sussidio alle università. Perché gli studenti non sono indebitati con singoli atenei, ma con un ente federale che funge da garante.

Quindi lo stato rinuncia a un credito, ma il beneficiario ultimo sono le università che già non devono farsi carico del rischio di insolvenza dello studente, e in più ora sono incentivate all’ “azzardo morale”: c’è una ragione in più per aumentare rette già esose, visto che se si riveleranno insostenibili per gli studenti alla fine la differenza ce la metterà il contribuente americano.

Anche questo meccanismo può dunque contribuire all’inflazione, perché l’istruzione è un bene di consumo (o di investimento, a seconda delle prospettive) come gli altri e se avrà prezzi più alti spingerà l’economia ad adattarsi, chi può scaricherà il rincaro su altri soggetti, chi non può chiederà ai propri datori di lavoro aumenti di stipendio per fronteggiare la ridotta disponibilità economica. E così via in una spirale che è già abbastanza pericolosa, visto che a luglio  i prezzi marciavano al ritmo dell’8,5 per cento, nonostante gli sforzi della Federal Reserve per raffreddare l’economia.

E dire che le università non avrebbero certo bisogno di sostegno: la University of Texas, grazie all’andamento del prezzo del greggio, insidia il primato di Harvard di Boston come ateneo più ricco, 42.9 miliardi contro 53.2 di endowment, cioè di capitale che poi viene investito e genera rendimenti che pagano i costi di gestione.

 Questa logica dell’intervento a pioggia senza considerare equità e conseguenze economiche di medio periodo è stato l’innesco dell’attuale spirale inflazionistica, con gli assegni spediti a casa di tutti i contribuenti americani per migliaia di miliardi di dollari prima da Donald Trump e poi, soprattutto, da Joe Biden.

Finché gli americani erano chiusi in casa con i lockdown non ci sono state conseguenze negative particolari, quando sono usciti e hanno iniziato a consumare ciò che avevano risparmiato i prezzi sono impazziti.

Ma per salvare la Casa Bianca, 300 miliardi e un altro po’ di inflazione per Biden evidentemente sono un prezzo equo.

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