Non manca molto alle prossime elezioni regionali in Calabria. Gli elettori e i partiti dovrebbero riflettere su un fatto accaduto il 30 luglio scorso. Il giorno, cioè, della sentenza del processo denominato Gotha che si è svolto a Reggio Calabria nel corso degli ultimi quattro anni. Un dibattimento rilevante per la storia non solo giudiziaria del territorio, ma anche per la storia politica degli ultimi vent’anni della regione e del paese, con riferimenti ai lontani anni Settanta, alla stagione delle bombe, delle rivolte, dell’eversione nera e della massoneria deviata.

Il processo appena concluso in primo grado al tribunale di Reggio è un concentrato di politica e storia, con documenti che al di là degli esiti finali giudiziari saranno molto utili agli storici per ricostruire alcune delle vicende più oscure del paese. Per la prima volta viene riconosciuta una componente di vertice e «riservata», nascosta, della ‘ndrangheta, la mafia calabrese oggi più potente al mondo.

Gli imputati infatti non erano semplici soldati di strada, ma politici, avvocati, preti con ruoli importanti nella curia regionale, imprenditori. Rappresentanti di quella che un mafioso pentito ha definito «la Reggio bene». Il bollettino giudiziario delle sentenze riferisce di condanne pesanti (15) e assoluzioni, (15) in un caso, clamorosa perché riguarda un ex senatore della Repubblica, Antonio Caridi, che dopo essere stato arrestato con una misura cautelare è stato alla fine assolto perché il fatto non sussiste.

Quel che però non è stato raccontato è il sistema messo sotto accusa dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, che ha ottenuto la condanna anche dei politici che in Calabria e in Italia contavano più di Caridi e che con quest’ultimo hanno condiviso un pezzo di strada assieme. Sono uomini politici le cui storie e carriere permettono di riscrivere quegli anni di governo della destra in Calabria, prima alla guida della città e poi della regione.

Modello Reggio

Erano gli anni in cui iniziava l’ascesa politica di Giuseppe Scopelliti, ex sindaco di Reggio e poi presidente della regione. Scopelliti dal fronte della gioventù ha scalato posizioni in Alleanza nazionale, pupillo di Gianfranco Fini e poi di Maurizio Gasparri, fino a entrare nella grande famiglia berlusconiana del Popolo della libertà (Pdl). Tra i suoi fedelissimi c’è Alberto Sarra, sottosegretario di Scopelliti in regione, mentre Caridi era assessore alle attività produttive.

Sarra è stato condannato per concorso esterno ai clan nello stesso processo in cui è stato assolto l’ex senatore Caridi. L’ex presidente non è stato coinvolto nel processo Gotha, chiamato a testimoniare si è avvalso della facoltà di non rispondere in quanto indagato in un procedimento connesso, formula tecnica che rivela l’esistenza di un’indagine a suo carico collegata ai fatti oggetto del processo Gotha.

Un processo a una ‘ndrangheta più raffinata rispetto a quella raccontata finora, fatta di cupole composte da politici, avvocati, imprenditori. La procura antimafia di Reggio l’ha sempre definita una sorta di centrale di governo dell’organizzazione, invisibile, l’apice della piramide criminale. Impianto accusatorio che l’assoluzione di Caridi non ha fatto vacillare, confermato dai giudici di primo grado.

La figura di Scopelliti ritorna molte volte, un po’ per i pentiti che hanno rivelato i voti raccolti a sostegno della carriera politica, un po’ perché tra i condannati a 25 anni per associazione mafiosa c’è Paolo Romeo, ex parlamentare del Psdi, in realtà è sempre stato l’anima nera della ‘ndrangheta, ritenuto in passato il collante tra i clan della città e l’eversione di destra ai tempi della strategia della tensione.

Romeo secondo quanto è emerso dalle carte giudiziarie avrebbe puntato su Scopelliti perché facilmente controllabile. Scopelliti è stato sindaco di Reggio dal 2002 al 2010, poi presidente della regione Calabria. Cresciuto con il mito dei “Boia chi molla” della rivolta del 1970 guidati dal sindacalista fascista Ciccio Franco. Il suo massimo splendore coincide con il periodo dei due governi Berlusconi. Per questo tanti hanno chiuso un occhio sulla gestione disastrosa del municipio di Reggio. Scopelliti è il padre del “Modello Reggio”, cioè un sistema in cui sprecare risorse era necessario per costruire il consenso che lo avrebbe portato al comando della regione qualche anno dopo.

Il “Modello Reggio” è costato alle casse del comune centinaia di migliaia di euro, una serie di falsi e il suicidio della dirigente responsabile dei bilanci. Il buco di bilancio, dovuto anche ad altre follie gestionali, costerà una condanna definitiva a Scopelliti a poco più di 4 anni. Ne ha scontati in prigione poco meno di due e ha già scritto un libro, prefazione di Gianfranco Fini. «Mi hanno voluto eliminare politicamente», è la sua tesi. Nonostante i tre gradi di giudizio e l’onta dello scioglimento per mafia del comune. Quando è accaduto lui era a capo della regione, ma il periodo incriminato è proprio quello in cui era sindaco.

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