Stordita da una tempesta di parole, prigioniera dei suoi riti, Palermo non sta cambiando: Palermo è già cambiata. E proprio mentre commemora i suoi “eroi”, nel trentennale della morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Palermo risucchia sé stessa e si mostra in tutta la sua ambiguità.

È un momento particolare per la Sicilia e per la sua capitale, un passaggio decisivo, epocale. È stata con ogni probabilità la città che, più di ogni altra in Italia, ha saputo con fatica e sofferenza scrollarsi di dosso scorie velenose. Ma, adesso, si ritrova inaspettatamente al punto di partenza.

Come nel gioco dell’oca, itinerario a spirale, tre decenni dopo le stragi qualcuno ha capito che un capitolo andava chiuso per sempre e bisognava resuscitare il passato.

Una riesumazione confusa fra sfilate solenni e innocui slogan sulla mafia “che fa schifo”, l'ipocrisia di un potere che sta riconsegnando la Sicilia ai suoi vecchi padroni.
Ci sono i “luoghi” che parlano, che raccontano, che spiegano la Palermo di oggi, una Palermo che ha tanta voglia di somigliare alla Palermo di ieri. C'è molto simbolismo in questo desiderio di fare tornare indietro il tempo, l'ambientazione di certe rappresentazioni non è casuale: tutt'altro.

La simbologia dei luoghi

Prendiamo il senatore Marcello Dell'Utri, messo sotto accusa per concorso in associazione mafiosa e per quel reato condannato sino in Cassazione.

Quale location ha scelto lui, per dare il suo appoggio al candidato sindaco del centrodestra Roberto Lagalla e trattare con il governatore Nello Musumeci sulle alleanze per le prossime elezioni in regione? Il Grand Hotel et des Palmes, albergo diventato famoso per i summit di mafia e anche per i patti e i tradimenti che si consumavano lì dentro tra i boss della politica siciliana.

Prendiamo Salvatore “Totò” Cuffaro, che qualche giorno fa ha presentato ufficialmente la Nuova Democrazia Cristiana al Multisala Politeama rivendicando il suo diritto di far politica nonostante la pena per avere favorito Cosa nostra.

cinema stracolmo, fuori una catena umana che spingeva per entrare, una folla in adorazione sotto il palchetto. Scene dell'altro secolo. Ma non è solo questione di forma, apparenza, c'è anche molta sostanza.

Pensare che Totò Cuffaro sia semplicemente il “vasa vasa” che distribuisce baci a tutti, un pittoresco personaggio ripescato in un pozzo che sembrava secco, sarebbe un grande errore come altro grande errore (oltre che un insulto) sarebbe quello di appiccicare una mafiosità addosso ai suoi fan.

C’è tanto di più dietro il suo trionfale rientro nell'arena siciliana. Cuffaro ha la consapevolezza che in Sicilia si siano esauriti due cicli, quello dell'antipolitica e quello dell'antimafia per come l'abbiamo conosciuta dal 1992 in poi. E, con l'esperienza di chi ha avuto una “scuola” importante, si è fatto trovare pronto ad intercettare i nuovi umori.

Ha capito che ci sono le condizioni ideali per riprendersi Palermo con la tradizione. Ecco perché il suo ritorno è stato così plateale, spudorato. E' sicuro di vincere. Nonostante il rumore che ha accompagnato la sua ricomparsa, nonostante l'indignazione di magistrati ed ex magistrati, di Maria Falcone e altri familiari di vittime, Totò Cuffaro ha lanciato una sfida contro una Palermo che aveva già perso prima.

Dall’aula bunker alla Sirenetta

Nell’avventura elettorale si è ritrovato in mezzo l'ex magnifico rettore Roberto Lagalla, ieri l’altro a posare in solitudine un mazzo di fiori al monumento ai caduti del 23 maggio sull’autostrada e ieri costretto a disertare la manifestazione ufficiale con il presidente Mattarella «per il clima d’odio che qualcuno sta alimentando strumentalmente».

Un inizio tortuoso per il probabile futuro sindaco di Palermo, ben felice comunque del sostegno offerto dai condannati per mafia.
In una Palermo labirinto, che in questa primavera non finisce mai di stupire, un paio di settimane fa si sono riuniti i procuratori generali degli stati membri del Consiglio d'Europa.

Prima tutti dentro l’aula bunker in onore di Falcone, poi tutti a mangiare alla Sirenetta di Mondello, un locale gestito dal figlio di Saverio Romano, l’ex ministro scivolato in indagini antimafia (e assolto con la vecchia formula dell'insufficienza di prove) e grande amico di Totò Cuffaro.

Un po’ degli eccellenti ermellini per la notte hanno trovato riparo a Palazzo Brunaccini, l'hotel di proprietà di Gaetano Cappellano Seminara, l'amministratore condannato nella vergognosa vicenda dei beni confiscati con al centro la giudice Silvana Saguto. Si può fare tutto e il contrario di tutto nella vecchia cara Palermo di oggi.


 

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