Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida continua a rilasciare dichiarazioni che rinchiudono il nostro paese in uno sgabuzzino gastronomico, utilizzando una retorica sovranista fatta per lo più di spauracchi e di preservazione dello status quo. L’ultima, in ordine cronologico, risale a novembre e riguarda una decisione arrivata dagli Stati Uniti: «Garantisco che finché saremo al governo sulle tavole degli italiani non arriveranno cibi creati in laboratorio», ha detto il ministro in merito al tema della cosiddetta carne sintetica, conosciuta tecnicamente come carne coltivata.

Il prodotto ha ottenuto il via libera della Food and Drug Administration (Fda), l’ente del governo statunitense che regola i prodotti alimentari e i farmaci, che lo ha considerato sicuro per il consumo umano. Grazie alla decisione della Fda, l’azienda californiana Upside Foods potrà prelevare cellule viventi dai polli e poi farle crescere in un laboratorio controllato per produrre un prodotto a base di carne che non comporti l’effettiva macellazione di alcun animale.

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Il primo hamburger coltivato è stato quello del team di ricerca del professor Mark Post dell’Università di Maastricht e risale all’agosto 2013. L’approvazione degli Stati Uniti potrebbe aprire le porte a un nuovo mercato alimentare, molto più sostenibile a livello ambientale di quello tradizionale.

A Singapore, ad esempio, è già una realtà. È attualmente l’unico paese in cui i prodotti a base di carne coltivata sono venduti legalmente. Si tratta di un alimento che potenzialmente può contribuire a soddisfare la crescente domanda globale di carne, riducendo al contempo l’impatto ambientale.

Se diamo per scontato che in Italia questo tipo di alimento non potrà mai essere commercializzato, qual è l’alternativa che rimane in campo? Probabilmente soltanto l’aumento degli allevamenti intensivi, che però contribuiscono alla deforestazione, alla perdita di biodiversità e più in generale all’inquinamento. Ecco, anziché dire di no a prescindere, il governo potrebbe almeno valutare l’eventualità. E provare a capire se il nostro modo di mangiare può integrarsi ed evolversi senza rinunciare alla tutela dei nostri prodotti d’eccellenza.

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