Gli imprenditori chiedono aiuto al governo per limitare i danni dell’aumento dei prezzi dell’energia, ma cosa offrono in cambio? Niente. Già per il primo trimestre 2022, il governo Draghi ha cancellato gli oneri di sistema per famiglie meno abbienti e per imprese. Gli oneri di sistema sono varie voci che pesano sulle bollette elettriche per 20 miliardi l’anno ma non connessi al prezzo della materia prima. Ridurre quella parte della bolletta significa tagliare il gettito per lo stato: chi paga il conto?

Quel primo intervento è stato finanziato a spese delle energie rinnovabili e della transizione ecologica: giusto prendere 1,5 miliardi di extra profitti per i produttori di energie verdi, sussidiati al momento dell’installazione degli impianti, privilegiati nell’immissione nella rete dell’energia prodotta e ora ri-sussidiati grazie al fatto che vengono remunerati a un prezzo stratosferico grazie all’aumento dei prezzi del gas. Ma non ha senso usare i proventi delle aste per i permessi di emissione di anidride carbonica (1,2 miliardi) per ridurre la bolletta: lo scopo di sistemi come quello è costringere gli inquinatori a internalizzare i costi dell’inquinamento, cioè ad avere costi più alti. Se poi il governo riduce la bolletta energetica e quindi i costi, è tutto inutile.  

L’aumento dei costi è parte del rischio imprenditoriale, lo sappiamo anche noi a Domani (l’energia spinge al rialzo i prezzi della carta). Il rischio, in finanza, ha un prezzo: per assicurarsi contro gli aumenti del gas e del petrolio ci sono strumenti appositi che a fronte di un costo basso certo permettono di coprirsi contro alti costi incerti. Le imprese che oggi chiedono aiuto allo stato hanno incassato i profitti nei tempi buoni anche perché hanno scelto di non sostenere questi costi che ora vogliono accollare alla collettività. E’ giusto? Sì e no.

Se la fiammata dell’energia fosse temporanea, sarebbe sbagliato far andare in crisi imprese sane. Un po’ come durante le crisi finanziarie si approvano aiuti straordinari e temporanei alle banche per evitare che momentanee crisi di fiducia si traducano in disastri permanenti.

Ma non tutte le aziende meritano aiuti e mai dovrebbero riceverli senza che il governo ottenga qualcosa in cambio. La transizione ecologica ha come esplicito obiettivo che le energie rinnovabili diventino relativamente più convenienti e, dunque, quelle fossili relativamente più costose.

Sussidiare chi dipende dai costi bassi del fossile è un controsenso. Ma ancora più assurdo è consentire sconti alle imprese lasciando loro la libertà di aumentare i prezzi. Chi ha un po’ di potere di mercato (tipo le banche con le commissioni) cercherà di spremere i clienti annacquando gli aumenti tra i rincari generali.

Cosa chiedere in cambio

Non è però molto realistico pensare che il governo fissi per legge i prezzi di intere filiere. Meglio spingere il mercato a selezionare chi merita e chi non merita gli aiuti: basta stabilire che gli aiuti energetici verranno erogati su richiesta, ma l’azienda beneficiaria non potrà aumentare i compensi al top management ed erogare dividendi agli azionisti per cinque anni, a meno di non restituire allo stato una somma equivalente all’aiuto di cui beneficia.

Se gli aiuti a carico della fiscalità generale servono solo per superare un temporaneo momento difficile, saranno una specie di prestito a tasso zero.

Se invece verranno usati per difficile transizione, il sacrificio di rinunciare a dividendi e aumenti sarà più che giustificato. Chi non ci sta è il solito parassita all’italiana che vuole solo privatizzare i guadagni e socializzare le perdite.  

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