La Carriera Alias non è conforme alle disposizioni dell’ordinamento giuridico italiano ed è potenzialmente dannosa per gli studenti che la richiedono, nonché per terzi. Innanzitutto la modifica del nome in corrispondenza all’identità di genere può avvenire solo dopo sentenza di un Tribunale e solo dopo le opportune verifiche, con diagnosi mediche, che la persona interessata sia realmente affetta da disforia di
genere.

La Carriera Alias, invece, incentiva e banalizza la “transizione”, proponendo una procedura così superficiale da non richiedere generalmente nessuna diagnosi né certificazione di una disforia di genere, ma semplicemente un’autodichiarazione in cui si afferma che l’identità di genere è diversa dal sesso di nascita. Questo è potenzialmente dannoso, poiché durante l’adolescenza si verificano fisiologici momenti di incertezza sulla propria identità.

Normalmente queste fasi passano con la maturazione sessuale, mentre la Carriera Alias può rafforzare l’idea di essere “nati nel corpo sbagliato”, facilitando percorsi per la “transizione sociale” (cambio nome, abiti, ecc.) o addirittura per il “cambio di sesso”, con bombardamenti ormonali e chirurgia spesso irreversibile.

Questo pericolo è tanto più grande che negli ultimi anni in Occidente assistiamo ad un aumento esponenziale di adolescenti che dicono di essere “trans” (talvolta per influenza di social o media) ma in realtà non hanno una disforia di genere.

Dal punto di vista giuridico, poi, la Carriera Alias è in contrasto con la normativa vigente. A partire dall’art. 6 del Codice Civile: «Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito [...]. Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati». 

Tra questi casi non rientra la Carriera Alias. La Cassazione, con l’ordinanza n.3877/2020, ha affermato che «il legislatore nazionale, con la legge numero 164 del 1982, articolo 5, ha richiesto una corrispondenza assoluta tra sesso anatomico e nome, manifestando preferenza per l'interesse alla certezza nei rapporti giuridici rispetto all'interesse individuale alla coincidenza tra il sesso percepito e il nome indicato nei documenti di identità».

La Cassazione ha sottolineato che «l'attribuzione del nuovo nome [...] consegue necessariamente all'attribuzione di sesso differente, al fine di evitare una discrepanza inammissibile tra sesso e nome».

Non possono decidere le scuole

La normativa primaria e secondaria in materia di autonomia scolastica non attribuisce alcun potere all’istituzione scolastica di incidere sul nome, sul genere o sull’identità degli studenti, nemmeno nel solo ambito della scuola (D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, artt. 1 e 14).

Quando dunque si adotta la Carriera Alias, si tratta di un atto viziato da incompetenza, anche in violazione dell’articolo 97 della Costituzione.
Come se non bastasse, sembrano esserci rischi sul piano penale, tanto per chi “ne fa uso” quanto per le persone che la promuovono.

Ad esempio, gli insegnanti hanno la qualifica di pubblici ufficiali nel redigere alcuni documenti ufficiali, come il registro di classe. Il registro di classe dovrebbe contenere i dati anagrafici degli alunni (Ordinanza Ministeriale 2 agosto 1993, n. 236).

Dunque, se un insegnante dovesse attestare la presenza o assenza di un allievo utilizzando il nome “alias” e il genere percepito, rischierebbe di incorrere nel reato di “Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici” (art. 479 c.p.).

Infine, la Carriera Alias potrebbe creare seri problemi per i diritti alla privacy e alla sicurezza di terzi - soprattutto le bambine e le ragazze - che entrano in contatto con i richiedenti la Carriera Alias, in alcuni ambiti quali bagni, spogliatoi, camere e competizioni sportive: ammettere studenti biologicamente maschi - solo perché si autodichiarano di genere femminile – nei bagni (o nelle stanze) riservate alle femmine lede il diritto alla privacy delle stesse e forse persino la loro sicurezza.

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