Come prevedibile le dichiarazioni di Nordio e Piantedosi non hanno fatto chiarezza né hanno diradato i numerosi dubbi che la vicenda relativa alla misteriosa liberazione di Almasri hanno sollevato.

Nordio ha addirittura smentito il capo del governo di cui fa parte in ordine ad una circostanza fondamentale come già rilevato in un precedente articolo.

Nordio e la richiesta di arresto ricevuta

Giorgia Meloni nel famoso “discorso dell’avviso di garanzia” aveva dichiarato che il suo ministro non aveva mai ricevuto la richiesta di arresto della Corte Penale Internazionale. Ebbene, Nordio ha dichiarato non solo di averlo ricevuto, seppure scritto in inglese, ma di avere avuto il tempo di esaminarlo al punto di averne individuato presunte inesattezze e contraddizioni e financo di aver letto l’opinione discordante di uno dei tre giudici.

Ha rivendicato che il ministro di Giustizia non sia un mero passacarte della Corte Penale ma che abbia una sua autonomia: teoria che, alla luce dei precisi impegni dello statuto di Roma del ‘99, è da escludere. L'articolo 2 della legge 237/12 attribuisce al ministro della Giustizia il mero ruolo di autorità centrale per la cooperazione con la Corte penale internazionale.

Egli altresì ha omesso di spiegare come mai abbia taciuto per due giorni al procuratore generale ed alla stessa Corte di Appello di Roma, invece di mettere nero su bianco la propria volontà, al punto che i giudici romani hanno proceduto alla scarcerazione di Almasri proprio in ragione del suo ostinato silenzio come riportato testualmente nel provvedimento da loro emesso.

La parola al tribunale dei ministri

Nordio forse mal consigliato, o forse per la presunzione tipica dei magistrati di sapersi difendere da soli, non se n’è accorto ma le sue dichiarazioni sono una implicita ammissione di inspiegabile inerzia che da sole legittimano un necessario approfondimento da parte del tribunale dei ministri che potrà interrogare sul punto il procuratore generale ed i giudici romani.

Il ministro era in perfettamente in grado di assumere le sue determinazioni, non essendo egli «un passacarte» come ha tenuto a dire. Dunque un duplice disastro: verso la premier e se stesso.

Non solo ma come dichiarato dall’ ex giudice della cpi Cuno Tarfusser in un’intervista al blog L’Asterisco e da altri illustri studiosi la decisione della corte di Roma di liberare il libico sarebbe errata in diritto in quanto i giudici avrebbero dovuto applicare l’art. 3 della L.237 per cui in materia di consegna, cooperazione ed esecuzione di pene si osservano le norme contenute nel codice di procedura penale (rapporti giurisdizionali con autorità straniere). In base ad esse nessuna preventiva autorizzazione del ministro era necessaria per convalidare l’arresto su cui poteva decidere in assoluta autonomia la corte di Roma.

Semmai il ministro come nel caso Sala avrebbe potuto negare la consegna di Almasri, ovviamente assumendosi la responsabilità politica di aver infranto lo statuto di Roma. Si chiede solo di sapere se questi profili siano stati oggetto delle interlocuzioni di Nordio con le autorità giudiziarie.

La Consulta mette ko il lodo Albania

Non è l’unico brutto colpo accusato dal governo: un’altra cattiva notizia è arrivata dalla Cassazione che con un’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale rischia di mandare definitivamente per aria la procedura dei trattenimenti in Albania dei migranti.

La prima sezione penale interessata da un ricorso avverso il rigetto di una domanda di protezione ha dubitato che la recente normativa del governo Meloni sui trattenimenti in Albania e il trasferimento della competenza alle Corti di Appello sia costituzionale. Nel mirino la soppressione del diritto di difesa stante i termini ristretti di esame delle domande e dei ricorsi (7 giorni tutto incluso) che escludono gli avvocati difensori.

Tale decisione che sospende ogni decisione sulle domande di protezione fino al giudizio tra molti mesi della Consulta sancisce il definitivo fallimento del “lodo albanese”. Il presupposto fondamentale perché esso “funzioni” è proprio la procedura accelerata in 7 giorni che consente il rimpatrio immediato. Esso non è più possibile almeno sino all’intervento della Corte Costituzionale. I resort lager in Albania resteranno vuoti e difficilmente la propaganda filo meloniana potrà nascondere la desolante realtà di una sconfitta totale.

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