Capita a tutti. Quando la realtà vuole essere martello non ce n’è per nessuno. Tocca subirla, ingoiarla, elaborarla. Facile a dirsi.

Noi bravi bravi a costruire le nostre tesi, i perfetti castelli di carta, e poi arriva lei e con una sua ventata, manrovescio, ci mostra improvvisamente per quello che siamo: uomini che vanno a tentoni, che scommettono su una possibile parabola del destino, che sanno di non sapere, quando in buona fede. Se la fede è cattiva, ciarlatani, venditori.

In questi ultimi anni della nostra vita politica abbiamo visto figuri schiaffeggiati dalla realtà, la pandemia di Covid in questo senso è stata un esaltatore di sapidità, un moltiplicatore all’infinito.

Quanti urlatori, inseguitori del più infimo umore di popolo, sputtanati dai fatti, eppure capaci di continuare come niente fosse, dimentichi della regola che quando la figura ha l’olezzo del letame è forse meglio prenderne atto e togliersi dai piedi.

Con stile. In altri paesi questa regola ancora resiste. Qui da noi ci si rimette in piedi, come gli ubriachi nel bel mezzo della sbornia, con l’equilibro dei pugili suonati, ma in piedi. 

Capita di vedere uomini tutti di un pezzo, assoluti nella loro ragione, corroborati da Dio in persona, sicuri di cosa vada permesso e vietato, che siano migranti in arrivo o pene da scontare, proibizionisti senza sconti, duri come il marmo.

Poi, ecco, arriva lei, la realtà, con il suo passo da ballerina in tempesta a rivelare che dietro certe idee di ordine e libertà non c’è niente. Perché i duri con la legge in mano, o meglio quelli che tali si sentono, sono al dunque come tutti gli altri. Se non peggio.

Quanto accaduto a Luca Morisi, ideatore e curatore dell’immagine social di Matteo Salvini, è la realtà che urla sipario!

Niente di personale, anzi, proprio perché abituati a diventare incudine della realtà non si può non esprimere la massima vicinanza al problema della persona inginocchiata da una dipendenza.

Ciò non toglie questo dato di fatto, bizzarro, surreale, tragicomico. Così vero da sembrare inverosimile, parafrasando Aristotele.

Il politico più aggressivo degli ultimi anni interpretava un ruolo scritto a penna da un uomo, un professionista, una specie di gobbo a teatro, che gli diceva cosa fosse o non fosse giusto dire sui mezzi di comunicazione.

Già questo inorridisce, ma è nel tempo che ci è dato vivere, spin doctor, guru della comunicazione, oramai sono a libro paga di tutti i politici, niente di eccezionale.

Semmai, la vera eccezione è un’altra. Il suggeritore del duro dei duri, al dunque, era un uomo come tutti gli altri, come i preti falsi diceva una cosa e ne faceva un’altra.

Niente di nuovo sotto il sole, ci mancherebbe. Ma ora, il politico che ha giudicato e sentenziato, che ha suonato citofoni come un supereroe alla ricerca dei cattivi, quello senza pietà contro chi commette un errore, bene, questo politico porga le sue scuse al popolo italiano.

Dica chiaramente che quanto urlato nelle orecchie di noialtri, e tanti gli hanno creduto, era un copione scritto a tavolino, un copione dove lui interpretava il ruolo della bestia, del giustiziere inesorabile. Un copione scritto da un uomo fallibile, come tutti gli altri, alle prese con la nobilissima arte dello sbaglio.

Chieda scusa. E poi saluti il pubblico con un inchino.

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