Un guerra dovrebbe ristabilire la gerarchia dei valori. In Italia invece, neanche la tragedia Ucraina distoglie la nostra classe politica dalla lotta per il controllo della Rai. Ultima notizia dal fronte: il decreto del governo che riduce dal 51 al 30 per cento la quota minima che Rai deve detenere in RaiWay (la società delle torri di trasmissione del segnale tv).

Quando si tratta di televisione, la politica (senza distinzioni) ha l’unico obiettivo di controllare la Rai, e preservare il duopolio con Mediaset.

Non interessa che il settore dei media stia attraversando un momento storico di cambiamento con l’avvento dello streaming, delle piattaforme digitali, dei video per i social, e con la rivoluzione che 5G e realtà virtuale porteranno nell’offerta di contenuti mediatici: basta perpetuare lo status quo.

L’unico vincolo è che la Rai non perda troppo, ovvero che canone e introiti pubblicitari coprano i costi. Poco importa se la Rai diventa un’altra azienda in declino, in un settore in declino come la televisione generalista. Se poi c’è del debito pregresso, il governo interviene per aiutare finanziariamente la Rai in qualche modo.

Fare cassa

Al solo scopo di far cassa, e ridurre l’indebitamento, in passato la Rai aveva scisso le sue torri di trasmissione nella società Raiway, per poi quotarla e cedere circa il 35 per cento al mercato. L’allora governo Renzi aveva però decretato che Rai non potesse scendere sotto al 51 per cento per garantire che Raiway rimanesse a controllo pubblico

. Ora si replica riducendo la soglia minima di possesso al 30 per cento per permettere alla Rai di vendere una parte del capitale di Raiway, incassare, ridurre il debito, e andare avanti come prima.

La vendita di un’attività strumentale per ridurre il debito è un’operazione squisitamente finanziaria, senza alcuna rilevanza per la gestione industriale.

Invece di detenere la proprietà di un’attività strumentale, e pagare gli interessi sul debito, la si vende per ridurre debito e interessi; però si paga un costo, prima inesistente, per l’utilizzo dei servizi forniti dalla società in cui è stata conferita quell’attività.

Infatti Rai continua a produrre gli stessi programmi, e Raiway a trasmettere il suo segnale, a prescindere di chi siano i suoi azionisti, visto che non c’è tv senza chi trasmette il segnale, e non c’è trasmissione senza i programmi.

L’operazione avrebbe una logica finanziaria se l’onere degli interessi sul debito Rai (principalmente un’obbligazione da 300 milioni) fossero superiori al costo stabilito per il servizio di trasmissione pagato a Raiway: ma con i tassi bassi è vero il contrario.

Il decreto del governo, dunque, è solo un modo per sostenere finanziariamente la Rai, riducendo il suo debito, senza però incidere sulla sua gestione, o sull’influenza della politica.

Come avevo già ipotizzato su queste colonne, il decreto del governo potrebbe essere un passaggio intermedio per arrivare alla fusione di Raiway con Ei Towers, la società in cui, a suo tempo, Mediaset (ora Mfe) conferì le sue torri di trasmissione, e di cui oggi detiene il 40 per cento del capitale, con il rimanente 60 del fondo F2i promosso da Cassa depositi e prestiti.

Venuto meno il vincolo del 51 per cento di Rai in Raiway la fusione con Ei Towers diventa possibile. 

Se la Cassa rilevasse poi una quota di Raiway, assieme a F2i e Rai garantirebbe il controllo pubblico del nuovo monopolio (l’ennesimo) che si verrebbe a creare con la fusione. Perpetuando in questo modo il duopolio Rai-Mfe anche nelle torri di trasmissione. 

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