La ripresa negli Stati Uniti sta superando qualunque aspettativa: nel primo trimestre il Pil è cresciuto dell’1,6 per cento rispetto ai 3 mesi precedenti; e l’aumento dl reddito disponibile a marzo è stato il più elevato dal 1949.

I piani di spesa per le infrastrutture e per il welfare dell’amministrazione Biden le metteranno il turbo, né preoccupa l’aumento delle imposte visto che in Borsa ci si attende una crescita degli utili societari del 34 per cento, che porterà oltre il 19 la redditività media del capitale.

La Federal Reserve (Fed) ha dichiarato che non cambierà la politica espansiva fino a quando non saranno ripristinate le condizioni pre Covid nel mercato del lavoro: dei 25 milioni di posti distrutti, finora ne sono stati recuperati 18. L’implicazione è che la banca centrale accetterà temporaneamente un’inflazione superiore all’obiettivo del 2 per cento.

La Fed controlla però i tassi a breve, non quelli a lungo: così, per evitare che l’inflazione eroda il valore dei loro risparmi, gli investitori hanno cominciato a richiedere rendimenti maggiori sui titoli di stato, con il decennale che in poche settimane è raddoppiato all’1,7 per cento.

Con un’inflazione attesa oltre il 2 per cento è ragionevole attendersi che il tasso a 10 anni salga ancora, arrivando ragionevolmente anche al 3 per cento. In Cina in tassi di interesse reali, ovvero depurati dall’inflazione, sono già positivi e tra i più alti al mondo.

L’economia dell’eurozona è tornata in recessione nel primo trimestre, con una contrazione del Pil dello 0,6. Ma i mercati guardano avanti: la forte accelerazione del programma di vaccinazioni, l’effetto trainante di Stati Uniti e Cina e il continuo sostegno di politiche espansive, fanno prevedere che la ripresa in Europa seguirà la stessa traiettoria di quella americana, anche se in ritardo e con tassi di crescita più bassi.

Così il rendimento del decennale tedesco è salito in poco tempo da -0,55 per cento fino a -0,17. I tassi negativi a lungo termine in Germania hanno falcidiato risparmi, previdenza integrativa e bilanci delle istituzioni finanziarie: con la ripresa in vista ritorneranno rapidamente positivi.

Anche l’inflazione dovrebbe risalire vicino all’obiettivo Bce del 2 per cento, ed è logico attendersi che gli investitori in Germania spingano ulteriormente al rialzo i rendimenti a livelli in grado di proteggere il valore reale della loro ricchezza.

Il rialzo dei tassi a lunga tedeschi fa salire anche quello dei Btp perché la Bce interviene cercando di stabilizzare lo spread (ovvero il differenziale di rendimento con i titoli tedeschi, oggi a circa 110 punti); non di calmierare il livello assoluto dei tassi a lunga in Germania.  

Così nelle scorse settimane il rendimento del Btp a 10 anni è raddoppiato fino a 0,94 per cento, seguendo al rialzo l’omologo tedesco, nonostante uno spread pressoché costante.

Se crediamo nella ripresa europea, bisogna aspettarsi un costo del debito pubblico molto più alto di quello al quale oggi si finanzia il Tesoro, anche se la Bce continuasse a intervenire.

Un vincolo stringente per il Pnrr e le riforme collegate perché la crescita del Pil (a prezzi correnti) dovrà superare, e non di poco, il maggior tasso sul debito pubblico affinché il rapporto debito/Pil si riduca stabilmente negli anni, scongiurando il rischio di una crisi finanziaria.

Gli iceberg sono pericolosi perché il rischio è nascosto sotto l’acqua. Quello dei tassi tedeschi potrebbe costituire un iceberg sulla rotta della ripresa italiana. Meglio fare molta attenzione.

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