Secondo il brillante Slavoj Žižek (Project Syndicate del 23 marzo 2023) le nuove intelligenze artificiali non sono stupide abbastanza. Perché, in sostanza vanno sempre e costantemente a rimestare quello che hanno “appreso” senza che mai “stupidamente” (cioè fuori dal programma predisposto) gli si creino nel cervello sorprese cognitive.

La “stupidità” cognitiva è cosa antica

La questione non è nuova e, a prescindere dall’intelligenza artificiale più o meno chiacchierina, si è sempre constatato che qualsiasi routine finisce col girare su sé stessa. Se si fanno i film con lo stampino o si conduce una redazione restando rigorosi entro i confini delle norme (tanto per restare all’industria della comunicazione), è ovvio che la farina di quei sacchi avrà sempre lo stesso identico sapore.

Per questo in ogni insieme organizzato sono preziosi gli “stupidi” che non riescono a dominare la realtà “come si deve”, ciancicano coi pensieri e le parole e d’improvviso esplodono in formulazioni che paiono assurde, sulle prime.

Ma in seguito si rivelano come squarci in una muraglia di buon senso altrimenti saldo e impenetrabile. Pensiamo al primo cui, per fare una battuta in qualche porto ellenico, scappò di dire, magari entro una metafora, che «sarebbe come se la Terra girasse intorno al Sole». L’Idiota di Dostoevskij quale altra virtù del resto presentava se non di parlare con l’innocenza dello stupido?

Dove Stalin prevale sulle ChatBot

Ebbene, Žižek ritiene che per l’Intelligenza Artificiale raggiungere la prestazione dell’idiota sia un’ambizione troppo grande e che oltre all’idiozia inerte, anche “l’idiozia creativa” è per ora un privilegio esclusivo degli umani. Ma domani? Qui arriva la preoccupazione del filosofo sloveno: se l’intelligenza artificiale mai non falla e resta sterile nell’incremento cognitivo, potrebbe capitare che saremo noi, a forza di servircene, a diventare angustamente intelligenti come lei.

Quanto a desiderare questo destino oppure paventarlo è probabile che i pareri si dividano una volta letti il seguente esempio di stupidità creativa pescato da Žižek chissà dove.

A Stalin, in un passaggio di un discorso dei primi anni 1930, scappò di invocare misure radicali per individuare e combattere coloro che si opponevano alla collettivizzazione «solo nei loro pensieri» (sic). E lì per lì, come sedotto da quell’assurdità che gli era uscita un po’ a casaccio, anziché rimangiarsela né intuì di colpo il potenziale e proseguì: «Sì, intendo proprio questo, dovremmo combattere anche i pensieri delle persone». Sappiamo com’è andata.

Cosa successe in quegli istanti nella testa del georgiano? Lacan lo classificò come un caso di verità che emergeva di sorpresa spinta da una parola uscita chissà come dalla bocca. Althusser parlò di parola che ti “prende” e scatena un senso “sorprendente”.  Ma tutti noi, diciamolo, anche senza le sculture verbali di colossi come questi sapevamo che a volte basta una parola per far esplodere un tran tran e accendere un tumulto nella testa.

Il futuro dell’idiota è assicurato

Quanto alle preoccupazione che la mente umana s’adegui alla Chatbot, e smetta la produzione di idiozie, l’evento ci pare come minimo improbabile.

Guardiamo ai social come sono: nella confusione degli utenti (fra autentici, pseudonimi, robot e anonimi intrusivi come i droni dentro Matrix) queste piattaforme non si muovono, a ben guardare, come stolide Chatbot auto imitative e aride di salti cognitivi?

E dunque, diciamo a Žižek, che se siamo rimasti idioti nonostante un ventennio di questo trattamento, è improbabile che faremo peggio, chatbot o non Chatbot, nel futuro.

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