Almeno adesso l’opaco processo decisionale che deve stabilire come spendere 209 miliardi di euro in arrivo dall’Unione europea ha una faccia: quella di Mario Turco, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, del Movimento Cinque stelle ma soprattutto pugliese, di Taranto.

La provenienza geografica nel suo caso non è un dettaglio di colore ma vale un miliardo di euro: Turco ha da poco ottenuto di spostare a palazzo Chigi la gestione del cosiddetto Cis di Taranto, Contratto istituzionale di sviluppo, una specie di enorme intervento di politica industriale dall’alto gestito dal sottosegretario.

«Io nell’ambito della mia delega alla programmazione economica e investimenti avevo evidenziato la necessità di un nuovo paradigma che affiancasse attività monitoraggio concomitante alla gestione», dice cose così Mario Turco, che ieri è intervenuto a Omnibus, la trasmissione di La7 condotta da Alessandra Sardoni.

Ha parlato per lunghi minuti del Recovery plan, del quale si sta occupando, ma per intuire qualcosa di come sta procedendo il governo di quali sono i problemi bisogna farsi largo nella muraglia di legalese ceh Turco oppone all’interlocutore.

La prova generale in Puglia

Eletto a Taranto con una campagna costata, in stile Cinque stelle, 5.718 euro, Turco è un professore di Ragioneria generale all’Università del Salento, commercialista di formazione, tutta la sua attività prima accademica e poi di governo muove dal caso – disperato – di Taranto e della sua transizione oltre l’effimera fase industriale centrata sull’Ilva.

In questi mesi Turco, monitorato soltanto dai giornali del Sud, ha fatto accordi con i soci cinesi di Ferretti, Weichai, per la concessione del porto di Taranto, 40 anni, considerato strategico per l’accesso all’Europa (gli americani sono preoccupati per la loro base Nato vicina). Poi ha celebrato il 6 novembre con Philip Morris l’apertura di un distretto tecnologico digitale, con un investimento da 100 milioni.

E’ la stessa Philip Morris che in questi anni ha finanziato con 2 milioni di euro la Casaleggio associati, come rivelato prima dal Fatto e poi, di recente, dal Riformista. Ma Turco non è della cerchia del Movimento più prossima alla Casaleggio, lui è fedele soltanto a Conte. Il premier ricambia la stima e gli ha affidato anche il Cipe, il comitato interministeriale per la programmazione economica.

Ma cosa sta facendo Turco sul Recovery Plan? Ci si perde nel suo eloquio e le idee sembrano poche ma confuse. Alla domanda, semplice, se il Recovery seguirà il “modello Genova” – cioè deroghe a tutte le regole sugli appalti e poteri accentrati su un politico-commissario – Turco risponde: «Modello Genova Sì e No».

La traduzione delle sue lunghe perifrasi sembra essere questa: per gestire i 209 miliardi ci sarà un livello politico, di ministri coordinati da quello per gli Affari europei Enzo Amendola, poi un comitato esecutivo di sei manager- presi probabilmente dalle grandi aziende partecipate dallo Stato – e 300 esperti, che affiancheranno le pubbliche amministrazioni “in caso di ritardi” nell’esecuzione dei progetti. Ma chi decide i progetti?

Turco, sempre su La7, dice cose come: «è bene discutere oggi della tematica gestionale e associare all’attività di programmazione l’attività di gestione e monitoraggio». Che non vuol dire niente, ma sembra di capire che se già si parla di gestione e monitoraggio questo significa che i progetti sono già stati decisi. E infatti la sequenza degli eventi indicata da Turco prevede che ci sia prima un accordo tra gli esperti, poi una condivisione nel governo, infine un passaggio in parlamento, anche se non si vede come questo possa succedere entro gennaio, che è il termine citato dal sottosegretario.

Qui si pone il vero problema, che Turco elude: chi ha deciso quali progetti finanziare e sulla base di quali criteri? Certo, ci sono le linee guida della Commissione europea sono molto generali e, in ogni caso, noi abbiamo già trovato il modo di aggirarle: con 88 miliardi finanzieremo spese già previste (e con già una copertura finanziaria) compatibili con le linee guida, in modo da recuperare quelle risorse per spenderle in altro modo.

Sappiamo che in questi mesi i ministeri hanno mandato le loro liste dei desideri al ministro Amendola – nelle bozze c’era di tutto, dal rifacimento degli arredi alle grandi infrastrutture – e le aziende si sono rivolte al ministero dello Sviluppo di Stefano Patuanelli, suggerendo, proponendo e reclamando. Chi si stia assumendo la responsabilità di decidere e con quali obiettivi non lo sappiamo. E che il sottosegretario Turco prometta che i 300 esperti assisteranno gli enti locali in ritardo è di ben poca consolazione.

© Riproduzione riservata