Furono diverse le motivazioni con le quali all’incirca duecentomila italiani parteciparono attivamente alla Resistenza. Come evidenziò chiaramente il grande storico Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, 1991, furono differenti anche gli obiettivi che quegli italiani perseguivano: dal cacciare i nazisti al rovesciare la Repubblica di Salò a trasformare la struttura di classe della società italiana.

Nessuno dei combattenti mai pensò, lo sappiamo dalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana, che la priorità fosse salvare la propria vita e accontentarsi di una soluzione “diplomatica” affidata agli anglo-americani.

Molti di loro, in Italia e nel resto dell’Europa travolta dagli invasori nazisti, lottarono per la riconquista della libertà in ciascun paese sentendola collegata a quella di tutti gli altri paesi.

Nel corso del tempo si sono susseguiti racconti e memorie, ma il documento rivelatore inoppugnabile è rappresentato dalle Lettere di condannati a morte della Resistenza europea.

Qui si trova anche l’aspirazione ad un’Europa unificata per porre fine alla guerra civile europea. Non so quanto questi fondamentali testi siano consigliati e distribuiti dall’Anpi e neppure quanto vengano effettivamente letti.

Sono sicuro che l’Anpi farebbe opera meritoria procedendo a consigliarli come biglietto d’ingresso per l’iscrizione alla Associazione.

Probabilmente, in non poche sedi locali è in atto da qualche settimana una discussione intensa e, inevitabilmente, anche acrimoniosa, sull’aggressione russa all’Ucraina, su quello che possiamo fare per gli aggrediti, su quello che dobbiamo o no consigliare agli ucraini che intendono continuare a combattere.

Anche ai partigiani italiani il Generale inglese Alexander consigliò di abbandonare la lotta armata nell’autunno-inverno 1944-45. I partigiani italiani decisero di non deporre le armi.

Non era soltanto una questione militare. Ne andava della dignità loro e della visione di un paese che volevano riscattare dopo vent’anni di fascismo.

È in nome di quella dignità di popolo e di patria che gli ucraini non si arrendono e chiedono armi per respingere l’invasore. La loro è una guerra di difesa, quella prevista dai Costituenti come accettabile nell’art. 11 della Costituzione, articolo che apre anche ad azioni di sostegno esterno attraverso organizzazioni internazionali per assicurare «la pace e la giustizia fra le Nazioni».

Senza esagerazioni, ma anche senza elusioni, è auspicabile una riflessione dell’Anpi e di tutti coloro che ritengono che l’unica conclusione accettabile della guerra lanciata dai russi all’Ucraina sia il riconoscimento dell’indipendenza dello Stato e delle libertà dei suoi cittadini.

Solo questo esito è coerente con le aspirazioni dei partigiani combattenti italiani.

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