Il presidente Vladimir Putin governa la Russia dal 1999, prima come primo ministro, poi dal marzo 2000 come presidente della Federazione Russa per due mandati consecutivi, successivamente come primo ministro dal 2008 al 2012 e di nuovo come presidente fino a oggi. Putin ha governato per un periodo più lungo del segretario del Pcus Leonid  Breznev. Con la guerra ucraina è probabilmente giunto alla fine del suo compito storico che era quello di ridare una dignità alla Russia nel contesto internazionale dopo i terribili anni eltsiniani quando la Russia ha corso il rischio di frammentarsi.

Tutta l’azione politica di Putin fino alla guerra ucraina è stata ispirata a due principi fondamentali: ideologia conservatrice e stabilità politica, sociale e istituzionale. Questi principi sono contrari a qualunque azione di governo che possa provocare squilibri interni.

Cristianesimo e visione euroasiatica

Alla base c’è una concezione dell’identità nazionale della Russia che la contrappone alle società occidentali basata su diversi pilastri. Il primo pilastro è costituito dal cristianesimo russo come principale carattere distintivo, il secondo da una critica radicale del modello di vita occidentale, privo di vera religiosità e impregnato di modelli di vita definibili come Lbgt.

Il terzo è costituito da una visione euroasiatica, non europea, della civiltà russa, che recupera le idee elaborate nei primi anni venti da pensatori russi emigrati. Questa concezione di diversità e unicità porta alla conclusione che il ruolo della Russia all’interno delle relazioni internazionali deve essere quello di una grande potenza.

Tre periodi storici

L’azione politica del presidente Putin può essere divisa in tre periodi. Il primo che va dal 2000 al 2008, è il periodo della ricostruzione economica e politica della Russia dopo i terribili anni eltsiniani. La ripresa economica è determinata principalmente dall’innalzamento del prezzo del petrolio sui mercati mondiali e la Russia ritrova dignità nel consesso internazionale.

Il secondo periodo è quello che va dal 2008 al 2014,  contrassegnato dallo scambio di ruolo presidente - primo ministro con Dmitrij Medvedev e da un tentativo mal riuscito di rendere più efficiente l’economia.

Dal 2014, dopo la separazione della Crimea e del Donbass dall’Ucraina, il sistema politico russo ha avuto una sostanziale svolta autoritaria, anche se non formale, che va continuamente crescendo dall’inizio della guerra.

Il conflitto ucraino ha separato definitivamente la Federazione russa dal mondo occidentale al quale il presidente Putin, parlando al parlamento tedesco appena eletto, aveva orgogliosamente detto di appartenere come pietroburghese erede di Pietro il grande.

Putin ha governato la federazione russa per ben ventidue anni nel ruolo di primo ministro o presidente e ha ora ha esaurito il suo compito storico. Già prima della guerra, Putin insieme a tutta la classe dirigente russa ha fallito nel compito di modernizzare l’economia russa.

Economia periferica

In Russia si è discusso per moltissimo tempo di modernizacja, ma la struttura economica non è molto cambiata negli ultimi ventidue anni, se non per un miglioramento della produzione agricola che riesce a esportare grano e olio di girasole, e la formazione di un settore terziario che in tempi sovietici era poco sviluppato. L’economia russa è un’economia a trazione energetica e se pensiamo ad altri prodotti russi esportati non rimangono che vodka e caviale.

La Russia è un’economia periferica, che rappresenta a malapena il 2 per cento del prodotto mondiale. Come ha detto un economista americano, forse esagerando, la Russia è una Nigeria con missili nucleari.

Il confronto con l’economia di un paese africano che produce soltanto petrolio è decisamente forzato, dato che la Russia produce centrali nucleari, aerei, trasporti pesanti e leggeri ed è stata luogo di investimenti diretti stranieri. Ma è pur vero che l’economia russa non produce beni high tech sofisticati, a parte quelli militari.

Certamente non si può essere una grande potenza mondiale se non si possiede un sistema economico efficiente, esteso e produttore di beni sofisticati. Le sanzioni che proibiscono l’esportazione in Russia di prodotti ad alta tecnologia recheranno grande danno al processo di modernizzazione e alla rincorsa dei più avanzati paesi occidentali, che da Pietro il grande fino a Putin ha caratterizzato la Russia.

Le sanzioni che sono state comminate a causa dell’invasione ucraina sono molto pesanti e causeranno nell’anno corrente e nel prossimo un crollo dell’economia russa, che potrà sfociare in tensioni e conflitti all’interno del paese, al di là delle dichiarazioni propagandistiche del presidente Putin, secondo il quale le sanzioni non creeranno grandi danni.

L’invasione ucraina relegherà l’economia russa a un ruolo sempre più periferico e cambierà le relazioni politico-diplomatiche con l’Europa, spingendo sempre più la Russia verso un abbraccio non si sa quanto amichevole con la Cina.

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