Dopo il netto “sì” del presidente del consiglio, Mario Draghi, alla domanda sull’ipotesi di obbligo vaccinale nell’ultima conferenza stampa, sembrava che questa settimana ci sarebbe stata una decisa svolta nell’estensione del “green pass” a molte categorie di lavoratori, in primis a quelli che operano nei luoghi per accedere ai quali la certificazione verde è richiesta a chiunque, salvo che a loro.

Le anticipazioni che filtravano da palazzo Chigi, trovando ampio spazio sui giornali, confermavano le aspettative. Invece, il decreto-legge appena varato amplia l’obbligo del pass limitatamente a chiunque acceda a strutture scolastiche, educative e formative (salvo gli studenti e chi è esentato dal vaccino), comprese le università.

Inoltre, l’obbligo vaccinale viene esteso a tutti i soggetti anche esterni che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa nelle strutture sanitarie e assistenziali.

Quello che non torna

Non è noto il motivo per cui le anticipazioni non abbiano trovato riscontro nel testo elaborato dal governo. Pare vi siano problemi nell’esatta definizione del perimetro del settore pubblico, nonché difficoltà riguardanti anche il settore privato.

Non è nemmeno chiaro il motivo “scientifico” per cui con l’attuale decreto siano state assoggettate all’obbligo di pass alcune categorie, e non altre, né quali criteri sanitari di priorità siano stati seguiti nel definire il maggiore rischio di alcune attività rispetto ad attività diverse, se pure similari.

Sul piano regolatorio, non si comprende la ragione per cui si reputi necessario ricorrere a diversi decreti-legge per disporre estensioni successive a pochi giorni di distanza, né – conseguentemente – quali siano le cause di “necessità e urgenza” che hanno portato all’attuale imposizione solo a specifici lavoratori, tralasciandone altri.

Forse la spiegazione non è scientifica né di diritto, ma è solo politica: negli ultimi giorni, il comportamento della Lega in sede di conversione in legge di uno dei decreti che disciplinano il “green pass” - con il voto conforme a quello dell’opposizione - avrebbe indotto Draghi alla scelta di arrivare a una quanto più cauta estensione della certificazione verde.

Le decisioni normative sono anche politiche, nel senso che non si limitano a recepire le conclusioni di comitati scientifici e soggetti similari, ma sono il risultato della sintesi fra posizioni talora diverse di chi sostiene il governo. Tuttavia, l’istanza democratica di conoscenza pubblica e condivisa impone una ineludibile trasparenza nei riguardi delle persone.

Se ci sono evidenze e dati scientifici che renderebbero opportuna l’adozione di misure di contrasto al virus, ma poi vengono effettuate scelte di regolamentazione in tutto o in parte differenti, il governo dovrebbe rendere comprensibile a tutti con chiarezza dove finisce l’apporto scientifico e dove inizia il compromesso politico.

Se la variegata maggioranza di governo rende inevitabile una mediazione - specie dopo l’inizio del cosiddetto semestre bianco, con le conseguenti turbolenze, e alla vigilia del voto amministrativo, sede di competizione fra partiti - allora ai cittadini dovrebbe essere spiegato apertamente quali necessità di tipo sanitario siano state sacrificate in vista della tenuta dell’esecutivo.

È sacrosanto il fine di evitare strappi nella maggioranza, specie dopo le fibrillazioni degli ultimi giorni, ma Draghi deve esporre cosa sta accadendo e come ciò influenzi l’elaborazione di regole destinate a incidere sulla vita di tutti.

In attesa del prossimo decreto

Pare che un’estensione ulteriore della certificazione verde ad altre e più numerose categorie di lavoratori sarà sancita la prossima settimana con un nuovo decreto che, insieme a quello appena emanato, andrà ad aggiungersi alle norme dei decreti precedenti in tema di “green pass” e ai relativi emendamenti in sede di conversione.

Ciò renderà necessario un coordinamento tra le regole dei diversi provvedimenti, tenendo anche conto – tra le altre cose – della spiegazione data via FAQ alle regole stesse, talora in modo non del tutto conforme a una loro interpretazione testuale e sistematica.

Il labirinto delle disposizioni in tema di contrasto al Sars-CoV-2 è ormai oltremodo complesso – per usare un eufemismo - con buona pace dell’obiettivo di semplificazione e razionalizzazione normativa messo per iscritto nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e a cui il governo si è impegnato nei confronti dell’Unione Europea.

Appare contraddittorio indicare tale traguardo tra le riforme da implementare per fruire dei fondi europei e poi continuare a legiferare in maniera opposta ai principi di “better regulation”.  E ci si chiede, per l’ennesima volta, fino a che punto l’opportunità politica può indurre a sacrificare le scelte migliori, in termini non solo scientifici, ma di buona regolamentazione.

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