Nel momento in cui la prevenzione della corruzione è vista dal presidente Joe Biden come sfida decisiva per le democrazie (eloquente già il titolo del Memorandum on Establishing the Fight Against Corruption as a Core United States National Security Interest), e a livello globale il tema dell’anticorruzione è rilanciato con forza nella Sessione speciale sulla corruzione dell’Assemblea generale dell’Onu, lo scenario nazionale presenta chiaroscuri, con una foschia che si addensa intorno al Piano di ripresa che è bene diradare.

Il timore

Il governo italiano vuole davvero, riprendendo l’intervento dell’attuale presidente dell’Autorità anticorruzione, fare “preoccupanti passi indietro sull’anticorruzione”?

Il primo indizio lo ricaviamo dal Pnrr. Chi ne avrà voglia, potrà leggere, spero senza sentire troppo il peso del paradosso, il paragrafo titolato Abrogazione e revisione di norme che alimentano la corruzione. Quali queste norme? Quelle sui controlli pubblici, quelle sull’anticorruzione, quelle «sulla trasparenza che prevedono – tra l’altro – obblighi di pubblicazione di numerosi atti» e «contemplano ben tre tipi di accesso ai documenti e alle informazioni amministrative». In un paese così opaco e denso di norme, alcune davvero criminogene, colpisce questa individuazione del nemico interno nella stessa anticorruzione, nella stessa trasparenza.

Non convince poi la soluzione prospettata sul fronte della trasparenza, di riduzione dello stock di informazioni disponibili.

Né quella di concentrare i dati da pubblicare in un portale unitario: se l’idea è semplificare la vita delle amministrazioni e quella del cittadino, non persuade la sostituzione di un meccanismo ormai rodato (la pubblicazione sul proprio sito) con uno tutto da costruire, concentrando in un’unica sede le informazioni di oltre 10mila soggetti tenuti al rispetto degli obblighi di pubblicazione.

Il nuovo piano

Il secondo indizio, che ha scosso appunto anche l’attuale vertice dell’Anac, è all’articolo 6 del decreto sul rafforzamento amministrativo.

L’articolo istituisce un nuovo Piano integrato di attività e organizzazione, con il quale tra l’altro le amministrazioni dovrebbero annualmente rendere conto «degli strumenti e delle fasi per giungere alla piena trasparenza dell’attività e dell’organizzazione amministrativa nonché per raggiungere gli obiettivi in materia di anticorruzione».

Il testo prevede anche che il piano sia inviato al Dipartimento per la funzione pubblica, col che la competenza su questo “piano-anche-anticorruzione” parrebbe far capo al governo stesso: questo fatto però potrebbe dare problemi trattandosi di anticorruzione, visto che la Convenzione Onu del 2003 richiede che sia assicurata l’indipendenza degli organismi di prevenzione della corruzione. La proposta affida al governo il compito di “individuare e abrogare” gli adempimenti assorbiti nel Piano integrato. Che si vogliano abolire il Piano di prevenzione della corruzione e i poteri in materia dell’Anac?

Troppa semplificazione

A seguire questi indizi, sorge davvero il dubbio che, decantando le magnifiche sorti e progressive della semplificazione, il governo intenda rivedere in profondità l’impianto della legge anticorruzione, sostituendo un modello che faceva perno su elementi “esterni” (un’autorità indipendente, il controllo diffuso dei cittadini), con uno centrato su controlli interni al sistema amministrativo: dall’anticorruzione-trasparenza all’audit-compliance, in un disegno più centralistico e meno “aperto”.

Indizi o prove?

In coerenza con altre previsioni del Pnrr, che, nel costruire la governance del Piano, individuano una struttura di controllo interno orientata «alla prevenzione, individuazione e contrasto di gravi irregolarità quali frodi, casi di corruzione e conflitti di interessi».

Ma anticorruzione e trasparenza sono, e sono stati in questi anni, ben più che un sistema di controlli interni e di protezione dalle frodi: l’anticorruzione ha rafforzato la trasparenza intesa come “controllo diffuso” dei cittadini, ma anche come “partecipazione al dibattito pubblico”, l’integrità e l’imparzialità dei funzionari, l’accountability, l’etica pubblica.

E affidare questi compiti a un’Autorità indipendente ha significato non solo proteggere questa funzione, come è stato a lungo possibile anche grazie all’autorevolezza dei suoi componenti, ma anche consentirne quell’efficacia che in un sistema con forti autonomie non poteva essere garantita dal centro statale.

Forse però quelli che abbiamo davanti sono solo indizi, non ancora prove. È solo un po’ di nebbia che annuncia il sole. Andiamo avanti tranquillamente.

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