Il caso McKinsey ha riportato di estrema attualità il tema della governance del cosiddetto Recovery Plan. In questo contesto, la storia del più grande programma di investimenti sul suolo europeo del secolo scorso, il piano Marshall, merita di essere rivisitata. L’esperienza storica è utile a ricordare che gli esiti delle politiche economiche dipendono sempre dalle persone e dalle istituzioni che le mettono in opera.

Nonostante gli obiettivi fossero gli stessi a livello europeo, il piano Marshall fu infatti gestito in modo eterogeneo nei diversi Paesi, portando ad esiti variegati. Il piano nacque nel 1947 con due finalità.

Da un lato aveva l’obiettivo esplicito, da parte americana, di aiutare la ripresa dell’economia europea in seguito alla seconda guerra mondiale. D’altra parte, scopo implicito del piano era quello di contrastare l’influenza comunista nei paesi dell’Europa occidentale.

I due approcci

La Francia e l’Italia, secondo e terzo paese in base all’ammontare dei fondi ricevuti, gestirono gli aiuti in modo molto diverso. La Francia, governata da una coalizione di centrosinistra che comprendeva anche i socialisti, utilizzò gli aiuti per modernizzare il paese, mettendo nel frattempo i mercati al riparo dalla concorrenza straniera.

L’Italia, che vedeva i socialisti di Nenni all’opposizione e Giuseppe Pella, economista liberista e monetarista, al Tesoro, perseguì invece grazie ai fondi americani una politica di rigore monetario e finanziario e di progressiva liberalizzazione del commercio.

Le strutture di governance adottate nei due paesi rispecchiavano le logiche politiche e gli obiettivi economici dei due governi. La Francia aveva creato nel 1946 una struttura interministeriale allo scopo di pianificare gli investimenti pubblici di lungo termine degli anni a venire.

Questa struttura, il Commissariat Général au Plan, era costituita solo al 20 per cento da funzionari già in forza alla pubblica amministrazione. Il piano di rilancio fu l’occasione di assumere nuove leve di funzionari tra giovani esperti.

Gli aiuti del piano Marshall furono utilizzati per investire in pochi settori accuratamente selezionati: carbone, acciaio, elettricità, cemento, macchinari agricoli e trasporti. L’idea era quella di un dirigismo che evitasse di disperdere i fondi in mille rivoli.

In Italia, al contrario, Pella rifiutò drasticamente il concetto, pure sollecitato da parte americana, di una pianificazione centralizzata. Nei primi anni del piano, la maggior parte dei fondi furono utilizzati allo scopo di stabilizzare il bilancio dello Stato e mettere ordine nella finanza pubblica.

La convinzione di Pella era che gli investimenti dovessero provenire dalla domanda del mercato, e che l’intervento diretto del governo dovesse limitarsi agli ambiti trascurati dall’impresa privata.

Di qui l’idea dei grandi lavori pubblici e della Cassa per il Mezzogiorno al fine di creare nuovi mercati per l’iniziativa privata. Questi interventi furono peraltro ritardati da Pella, che temeva di stimolare eccessivamente l’inflazione.

Il tasso di investimento del capitale rimase dunque stagnante durante gli anni del piano Marshall.

Soltanto nel 1950, con le proteste dei contadini al Sud seguite da quelle degli operai al Nord, il governo si decise a cominciare gli investimenti: gli interventi delle amministrazioni pubbliche restarono comunque parziali, scoordinati e spesso ridondanti.

Furono in seguito i grandi enti pubblici autonomi – come l’Iri e l’Eni – a fornire la spinta al miracolo economico degli anni ’50 e ’60, grazie alla profondità del loro indirizzo strategico e alla loro ampiezza di risorse.

Subito la pubblica amministrazione

L’esempio del piano Marshall porta con sé alcune importanti lezioni. Innanzitutto, come il caso francese suggerisce, si deve e si può utilizzare l’occasione fornita dai fondi europei per investire nella pubblica amministrazione, assumendo giovani esperti al fine di renderla più moderna ed efficiente.

La direzione non può essere quella di ridurre il personale e destinare le risorse risparmiate per retribuire società di consulenza.

Ora più che mai, è invece necessario coinvolgere le amministrazioni che gestiranno nella quotidianità il piano, predisporre un piano di reclutamento, effettuare una pianificazione strategica.

L’esperienza del piano Marshall insegna che una struttura centrale di coordinamento, con poche priorità di investimento chiare e definite, è essenziale per tornare a crescere.

Solo un indirizzo strategico chiaro permette di non sprecare i fondi in tanti piccoli progetti, non coordinati, spesso ridondanti, che danno respiro all’economia nel breve periodo senza garantire una crescita sostenibile per le future generazioni.

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