Osservando le dinamiche della vita familiare penso sempre più spesso al vecchio Sigmund Freud. Come se non bastasse, me lo immagino con le fattezze di Remo Remotti in Sogni d'oro di Nanni Moretti. Alle più recenti teorie psicologiche e neuroscientifiche, che ambiscono all’oggettività scientifica, continuo a preferire il padre della psicanalisi, che descrive la mente umana come il prodotto delle tradizioni culturali in cui viene costruita, da Sofocle fino a noi.

Freud ci parla di come gli antichi miti hanno plasmato il sistema operativo che determina il nostro comportamento, disegnando una tripartizione – Io, Super-io, Ed o Inconscio – che inizia a esistere solo nel momento in cui può essere pensata. Da quel momento in poi, la precisione del modello freudiano è impressionante. Il Super-io? Ma sono io! La figura paterna, guardiano degli interdetti, incarnazione del principio di realtà. Il complesso di Edipo? Esiste e tocca all'adulto arginarlo. Altro che lasciare libero corso alla sessualità dei bambini, come dicevano certi educatori sessantottini.

Il nucleo familiare appare davvero come uno strano triangolo, in cui ogni coppia cerca a turno di “fare fuori” il terzo, in quanto ostacola il pieno godimento dell’altro. I genitori vorrebbero un momento d’intimità senza il disturbo del bambino; il bambino vuole la madre senza le ramanzine del padre; eccetera. Tre non è il numero perfetto, come diceva una pubblicità, ma l’elemento di disturbo che mette un permanente conflitto.

È questo conflitto che costituisce l’individuo, ma anche – va detto – le nevrosi che si porterà dietro per tutta la vita. È possibile una società senza nevrosi? Freud pone esplicitamente la domanda nel Disagio della civiltà. Alcuni suoi discepoli, da Wilhelm Reich in avanti, si illuderanno di sì e faranno tanti bei pasticci che oggi ricordiamo sotto il nome di “rivoluzione sessuale”. C’era l’idea che ci si potesse liberare del tutto dal principio di realtà per intronare il principio di piacere.

Il movimento MeToo ha messo un punto finale a queste illusioni. Meglio qualche nevrosi che la giungla delle passioni dove a perdere sono sempre le parti più deboli.

La famiglia come l’Europa

Leggendo la letteratura di lingua tedesca, svedese, danese a cavallo tra Otto e Novecento - Nietzsche, Kierkegaard, Mann, Ibsen, e poi il cinema di Dreyer e di Bergman - si capisce che la nevrosi non è una patologia medica ma una malattia sociale. È il prodotto inevitabile di una contraddizione tra le aspirazioni dell'individuo e le esigenze della società. Principio di piacere contro principio di realtà, appunto.

Cito autori del nord-Europa perché in questo senso gli italiani sono uno dei popoli meno nevrotici del continente: per spiegare questo mistero, che già seduceva i turisti dell'epoca, si sono immaginate innumerevoli teorie, tra cui quella del “familismo amorale” secondo cui sotto le Alpi sarebbe meno pervasiva la pressione dei doveri collettivi.

Secondo questa idea, sicuramente datata, l’italiano non ha nevrosi perché pensa solo a sé e alla sua cerchia ristretta, coccolato da una religione edonistica – il cattolicesimo – che perdona tutto e incita alla doppiezza. Terra del principio di piacere realizzato, l’Italia esercita un’innegabile attrazione sui nordici, che nelle nostre acque vengono a purificarsi dagli spettri che li perseguitano; ma l'incontro non è sempre indolore, come ci mostrano i personaggi di Thomas Mann annientati dalla potenza del dionisiaco (La morte a Venezia), e quelli del cinema di Peter Greenaway, tormentati dai bruciori di stomaco (Il ventre dell'architetto).

I grandi dilemmi geopolitici della costruzione europea, proiettando le figure degli “stati formica” e degli “stati cicala”, sembrano restituire questi archetipi.

Piacere vs realtà

L’educazione di un figlio pone dilemmi piuttosto simili, perché si tratta di veleggiare tra gli scogli del principio di piacere e del principio di realtà. Ogni famiglia è un’Europa che cerca di non deflagrare, lacerata tra le esigenze del nord e quelle del sud.

A un certo punto bisogna arrendersi all’evidenza: non esiste un'educazione che non produce nevrosi, soprattutto quando le opposte esigenze da conciliare sono culturalmente distanti, quando troppo ampio è lo scarto tra piacere e dovere.

Per fortuna la cultura europea, quella di Freud e di Mann, ci ricorda la cosa essenziale: che la nevrosi è in qualche modo la nostra vera identità condivisa, il nostro patrimonio culturale più prezioso.

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