Interno giorno. Salotto tivù. La conduttrice, Myrta Merlino, comunica l’imprevisto rientro in video di Romano Prodi, collegato da casa e congedato da alcuni minuti. Il professore chiede di replicare a Ignazio La Russa su una questione non proprio di stretta attualità, ma di rilievo indubbio. Si tratta del passaggio dalla lira all’euro e del brusco raddoppio dei prezzi in coincidenza dell’avvio della nuova moneta. All’epoca una buona novella per commercianti, esercenti, professionisti. Pessima per pensionati, precari e redditi bassi in genere.

Romano Prodi (a differenza di Ignazio La Russa) quella vicenda la ricorda bene e la conosce anche meglio per esserne stato tra i protagonisti. Quindi con pazienza pedagogica ne ricostruisce i passaggi. Lo fa con quel tanto di tecnica richiesta, ma senza eccedere. Allora, nella trattativa di metà anni Novanta sulla parità lira-marco – era il 1996 e l’occasione il rientro nello Sme – l’accordo si era chiuso su 990 lire per un marco. Prodi ha rammentato il dialogo con l’allora cancelliere Kohl.

L’Italia chiedeva di chiudere a mille (mille lire per un marco), ma quando l’altro gli disse «Romano, mille non posso, facciamo 990» la reazione del capo del governo italiano e del ministro del Tesoro, Ciampi, fu di sano entusiasmo. 990 lire era una soluzione più prossima alla nostra proposta (1000-1010 lire) che non all’ipotesi dei tedeschi e degli olandesi (925-950).

Era persino più alta del cambio vigente allora, fissato a 985 lire. Insomma, da qualunque lato la si voglia vedere un buon risultato. Due anni più tardi il cambio tra lira ed euro venne fissato alla soglia famosa delle 1936,27 lire (per un euro), il corrispondente delle 989,999 lire per marco. Giunti lì, vale a dire scalata la montagna più alta, si trattava di predisporre il contesto per l’ingresso della nuova moneta.

E così si fece, ovvero si provò a fare. Con il governo del tempo, di centrosinistra, che in vista del passaggio aveva indicato i passi buoni a scongiurare effetti speculativi, del tipo obbligo nei primi mesi di indicare sui prodotti la doppia prezzatura e creazione di commissioni provinciali di riscontro sulle pratiche commerciali. Purtroppo col cambio di maggioranza, si votò nel 2001, e il ritorno del centrodestra non se ne fece nulla, anzi, se possibile la situazione peggiorò con un provvedimento in certo modo simbolico.

A fine 2001, era il 28 dicembre, il ministero dell’Economia emise un decreto con cui stabiliva per il Lotto e altre scommesse l’incremento della giocata minima da mille lire a un euro. Con buona pace della doppia etichetta e in spregio a commissioni pedanti la conferma di un cambio alla pari veniva diritta dall’esecutivo e per magia mille lire del cenone diventavano un euro al pranzo del primo dell’anno. Come dicono quelli bravi a fare i giochi di prestigio: Oplà! Peccato non averlo ricordato allo svagato La Russa. Poteva essere per lui un buon argomento contro l’Europa matrigna protettrice dei ludopatici.

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