Vivere nell’incertezza: il titolo del rapporto dell’Ocse del 16 settembre sintetizza bene il grado (scarso) di solidità delle attuali previsioni sul futuro dell’economia. Conviene iniziare da ciò che sappiamo.

Il duplice shock, dal lato dell’offerta e della domanda, prodotto dalla pandemia nel primo semestre del 2020 ha avuto conseguenze sul livello dell’attività economica ben più gravi di quelle sperimentate nella Grande recessione del 2008-2009. In quell’occasione, per le economie avanzate la caduta del Pil fu di circa il 5 per cento; nella prima metà del 2020 è stata intorno al 12 per cento.

Considerando le maggiori economie occidentali, si va dal -8 per cento della Svezia al -10 degli Stati Uniti, -12 della Germania, fino al -18/-19 di Italia e Francia, -22 del Regno Unito e -23 della Spagna.

E’ evidente ed ovvia la relazione inversa tra ampiezza e severità delle misure di confinamento adottate dai vari paesi e dimensioni del crollo del livello di attività economica.

A partire da giugno, con l’allentamento delle misure di confinamento, è iniziata una ripresa importante (un rimbalzo più rapido e intenso di quello verificatosi dopo la Grande recessione), che farebbe sperare in una ripresa a forma di V.

Rimangono però l’incertezza sull’evoluzione della pandemia nei mesi autunnali e un clima di fiducia ancora fragile che potrebbero ancora tradursi in un andamento a W dell’economia. 

Tutto ciò si riverbera nelle previsioni su base annuale per il 2020 e 2021. Il citato rapporto dell’Ocse prevede per l’economia mondiale una caduta del prodotto del 4,5 per cento nel 2020, in miglioramento di 1,5 punti percentuali rispetto alla previsione di giugno.

La revisione al rialzo delle previsioni è imputabile alla Cina (soprattutto) e alle maggiori economie occidentali, mentre peggiorano in misura significativa le stime relative a India, Sud Africa, Argentina e Messico.

Per il 2021, al contrario, si prevede una ripresa del 5 per cento per l’economia mondiale con un peggioramento delle stime per le grandi economie occidentali.

Riguardo in particolare all’Italia, le stime del Consensus forecasts (una media delle stime dei diversi previsori) di settembre danno una caduta del 9,9 per cento del 2020 e una ripresa del 5,6 per cento nel 2021 (a luglio erano rispettivamente -10,6 e +6,1), con ampie differenze tra la previsione più favorevole e quella più sfavorevole: tre punti per il 2020 e quattro punti per il 2021. 

Per la quasi totalità dei paesi, comunque, si prevede che la ripresa nel 2021 non sarà sufficiente a recuperare interamente la perdita di prodotto del 2020 (fa eccezione la Cina, che già nel secondo trimestre del 2020 ha recuperato il calo di prodotto del primo).

Le cicatrici permanenti

Anche se le previsioni sul futuro più prossimo restano molto incerte, si può affermare che l’esperienza di questi mesi avrà conseguenze persistenti nel tempo sul funzionamento dell’economia, al di là del tempo necessario per recuperare la caduta del prodotto.

La prima riguarda la diffusione del telelavoro che sembra un fenomeno destinato a permanere.

Le implicazioni potranno essere profonde: sul sistema dei trasporti con la flessione del pendolarismo dei lavoratori, sui costi delle imprese per l’impiego del fattore lavoro, sui prezzi degli immobili nelle aree centrali delle città, sulla localizzazione di pubblici esercizi come ristoranti e bar.

Vi è poi il tema della riorganizzazione delle catene globali del valore nella manifattura, con la riduzione della loro frammentazione geografica e la possibile rilocalizzazione nei paesi ad economia avanzata di alcuni segmenti in passato delocalizzati in economie emergenti per trarre vantaggio da un costo del lavoro più basso.

In generale, si renderà necessaria una riallocazione di lavoro e capitale verso i settori con prospettive migliori nel lungo periodo.

Le aspettative dei consumatori

Più preoccupante è l’effetto che la pandemia potrà avere, anche quando essa si sarà risolta, su aspettative e comportamenti di consumatori e investitori.

Oggi i dati mostrano una forte crescita del risparmio precauzionale: in Italia, ad esempio, la propensione al risparmio è cresciuta di circa il 50 per cento e gli investimenti sono calati di quasi il 20 per cento. A pandemia ancora in corso, sono dinamiche del tutto ovvie. La questione è se e in che misura esse tenderanno a persistere.

Secondo un recente lavoro di tre economisti americani (Koszlowski, Veldkamp e Venkateswaran), il costo maggiore che potrebbe derivare dalla pandemia sarebbe quello associato a modifiche nei comportamenti derivanti da una “cicatrice nelle convinzioni” (una modifica persistente dell’opinione degli agenti economici sulla probabilità che si verifichi un evento negativo estremo) che continui a segnare i comportamenti anche dopo che la crisi sanitaria sarà stata superata.

Anche se un vaccino efficace risolvesse in tempi brevi l’emergenza, il timore di future pandemie – un evento che oggi riteniamo più probabile di quanto pensavamo fino a ieri – potrebbe modificare le scelte economiche con costi importanti nel lungo periodo.

Nel futuro prossimo, è plausibile un eccesso di risparmio privato che dovrà essere colmato da una politica fiscale espansiva, vista l’inefficacia della politica monetaria in un contesto di tassi di interesse negativi. 

Il nuovo debito

Un lascito certo della pandemia sarà l’accumulazione di debito, già a livelli record in precedenza. L’Ocse stima che l’impatto degli stabilizzatori automatici del bilancio pubblico e quello delle misure approvate in questi mesi produrrà per fine 2021 una crescita del rapporto tra debito pubblico e prodotto di circa 15 punti nelle economie avanzate.

Il debito privato è anch’esso destinato a toccare livelli mai sperimentati in passato (una parte importante dei pacchetti di bilancio approvati è costituita da prestiti e garanzie pubbliche).

La questione del debito pubblico assume particolare rilievo nel caso italiano. La tendenza per i prossimi anni è, approssimativamente, di un rapporto con il Pil che si manterrà nei dintorni di quota 160. Né sarebbe consigliabile, come si è visto, correggere questa tendenza con una politica fiscale restrittiva.

Non si vedono problemi di sostenibilità per il livello attuale del debito. La Bce continuerà ad acquistare titoli pubblici sul mercato secondario, tenendo bassi i tassi di interesse. 

Finché il tasso di crescita nominale del Pil resta maggiore del costo del debito non vi sono rischi di sostenibilità anche per un paese con un debito molto elevato come il nostro.

Questo quadro non durerà per sempre. Al di là del rischio che nel giro di qualche anno riparta l’inflazione, ciò che dovrebbe preoccuparci è la possibilità di ritrovarci, quando nell’eurozona si sarà tornati a una nuova normalità in termini di crescita, nella stessa posizione in cui siamo stati nell’ultimo decennio: a fine 2019 l’Italia era l’unico grande paese che non aveva ancora recuperato i livelli precedenti alla Grande recessione.

In quel caso, è facile prevedere che le pressioni politiche per una correzione fiscale diventerebbero irresistibili, anche alla luce del sostegno ricevuto dal nostro paese con i trasferimenti del Recovery Fund.

Tentazioni pericolose

La previsione di consenso sulla crescita di lungo periodo dell’Italia oggi (settembre 2020) resta bassa, inferiore allo 0,7 per cento l’anno, in linea con l’esperienza recente. 

È evidente come il Recovery Fund costituisca l’opportunità di migliorare questa tendenza. Molto dipende da come saranno utilizzate le risorse, in particolare se verranno concentrate sulle voci di bilancio suscettibili di fornire lo stimolo maggiore all’economia.

Secondo una simulazione della Banca d’Italia, se tutte le risorse del Recovery Fund venissero spese in progetti di investimento aggiuntivi rispetto a quelli già programmati (la voce di bilancio cui è associato il moltiplicatore più elevato), esse potrebbero tradursi in un aumento cumulato del Pil di circa tre punti entro il 2025.

Configurazioni con un peso minore degli investimenti (ovvero che utilizzino le risorse europee per finanziare investimenti già programmati, liberando così spazio per altre spese o per tagli di imposte) darebbero risultati peggiori.

Ciò non significa che interventi di altra natura non debbano essere presi in considerazione per i prossimi anni: essi potranno essere realizzati se compensati da interventi di segno opposto.

Per fare un esempio: benissimo disegnare riforme del sistema tributario, ma a patto che esse siano finanziate da riduzioni delle agevolazioni fiscali o da ricomposizioni del carico fiscale tra le diverse imposte.

   

© Riproduzione riservata