Il Covid ha riportato la scuola fra i pensieri degli italiani. Dopo una lunga rimozione collettiva, in cui gli investimenti in educazione venivano derubricati quasi a spreco da razionalizzare, oggi abbiamo l’opportunità di intervenire per definire un piano di lungo respiro, che riporti al centro la scuola come pilastro della crescita economica e civile del paese.

L’Italia è il paese europeo che è cresciuto di meno negli ultimi trent’anni, giungendo all’appuntamento con il Covid con un anemico 0,3 per cento di crescita annuale, a dimostrazione che chi meno investe in educazione non ha poi le competenze, le conoscenze, le abilità per uscire dalla stagnazione perpetua.

Ciò che l’Europa oggi ci richiede non è una lotteria di progetti, ma la definizione di quattro o cinque piste lungo le quali muoversi e fra queste la scuola deve avere la priorità.

Al Recovery fund dobbiamo aggiungere gli altri fondi europei e in particolare i fondi strutturali che riguardano le responsabilità delle regioni e dei fondi per ricerca e innovazione, che richiedono l’impegno del sistema scientifico e industriale, tutti riuniti in un Patto nazionale per il lavoro, che proietti nei prossimi cinque anni la tensione al cambiamento necessari per andare oltre al Covid, ma anche oltre la stagnazione.

Per realizzare un credibile rilancio della scuola come acceleratore dello sviluppo economico e democratico dell’intero paese abbiamo allora tre ordini di azioni da porre in campo: I) lotta alla povertà educativa e alla dispersione scolastica, II) rilancio dell’autonomia e rapporto con il territorio, III) porre le persone al centro del nostro sviluppo.

Un nuovo sviluppo richiede un alta qualità delle nostre risorse umane, mentre tutte le statistiche ci dicono che tra chi abbandona la scuola senza raggiungere la fine del corso e chi pur stando a scuola non ottiene un’adeguata competenza, tra chi pur diplomato o laureato non trova lavoro e chi pur lavorando non si aggiorna con continuità, il nostro paese ha affrontato la nuova rivoluzione digitale con una base di conoscenze troppo ristretto, lasciando scorrere fra noi il virus dell’iniquità, che ha a sua volta coltivato il sentimento diffuso del rancore sociale e della disaffezione democratica.

Un grande piano nazionale contro la dispersione scolastica, richiede  un rilancio dell’istruzione e formazione professionale per dotare il paese di una nuova base professionalizzante e ridurre la dispersione dei talenti, ma contemporaneamente un reskilling digitale di tutta la nostra forza-lavoro, sia pubblica che privata. 

Un segnale forte in questo senso sarebbe un piano per portare gli Istituti tecnici superiori da 15mila a 150mila iscritti in quattro anni.

L’autonomia serve

Questo diviene possibile solo se si rilancia l’autonomia scolastica, introdotta in modo lungimirante nel 1997, in previsione dei cambiamenti attesi nel 2000 con globalizzazione ed euro, ma finora frenata dalla rigidità dell’amministrazione centrale e dalla fragilità delle amministrazioni regionali e locali.

L’autonomia scolastica è un grande atto di unità nazionale perché richiede che si identifichino gli standard educativi che ognuno deve raggiungere, ma nel contempo porre a disposizione le risorse umane e materiali affinché ognuno possa effettivamente raggiungere quei livelli. È il contrario di «Arrangiatevi».

Questo vuol dire investire sulle persone, e in particolare i dirigenti scolastici e tutto quel personale che serve per far funzionare l’autonomia, vuol dire investire sulle dotazioni materiali, ma vuol dire anche riconoscere le differenze reali esistenti fra territori e quindi agire per legare di più la scuola al territorio di cui essere di riferimento.

Il governo ha finora approvato diversi interventi in questo senso, ma non avendone ancora dato una cornice coerente e unitaria, sembra disperdere questi atti nella matassa inestricabile dell’emergenza.

Per evitare che proprio l’emergenza diventi l’unico collante del paese, occorre dare fiducia e strumenti operativi alla molteplicità dei soggetti, delle comunità e delle istituzioni, che animano la vita del paese e fra questi occorre ripensare i curriculum scolastici, ricordando come il compito della scuola, oggi più che mai, sia spingere i nostri bambini, i nostri ragazzi e noi stessi, genitori, insegnanti, cittadini a costruire comunità solidali e inclusive.


Patrizio Bianchi è autore di Nello specchio della scuola per Il Mulino


© Riproduzione riservata