Il governo è prigioniero della guerra, eppure Mario Draghi non sembra intenzionato a spendere gli ultimi mesi del suo mandato come un premier dell’emergenza, unica via per governare davvero nell’ultima fase del suo mandato.

La tensione con il Movimento Cinque stelle di Giuseppe Conte inizia a diventare un problema, non tanto per Draghi quanto per la leadership di Conte e dunque per il Movimento Cinque stelle. Come ha giustamente scritto su Repubblica Stefano Folli, la scelta di Conte di scegliere la politica estera e la collocazione dell’Italia nei rapporti con Russia e Ucraina è poco influente sulle scelte concrete ma scredita l’ex premier come partner affidabile di qualunque coalizione.

Non si è mai capito cosa voglia esattamente Conte, che ha montato polemiche indecifrabili (tipo quella sull’aumento delle spese militari o l’attuale sull’invio delle armi agli ucraini): invoca legittimità di dissenso, ma non si capisce mai qual è la linea alternativa indicata dal Movimento.

Nel frattempo, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio costruisce un profilo alternativo e più utile in questa fase al Movimento, come dimostra anche un piano di pace lasciato filtrare dalla Farnesina a Repubblica che difficilmente sarà realizzato, ma che intanto segna le differenze. Conte comizia via social, Di Maio discute con il segretario generale dell’Onu António Guterres.

Draghi soffre Conte, nei giorni scorsi si è anche confrontato con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sul da farsi, che ovviamente non è entusiasta di osservare queste fibrillazioni nella maggioranza.

Ora che Matteo Salvini è più mansueto, anche perché sul fisco ha ottenuto molto di ciò che chiedeva, si agita Conte e perfino il redivivo Silvio Berlusconi, che prepara l’ennesimo ritorno senza però reinventarsi, troppo indulgente verso l’antico amico Vladimir Putin per essere politicamente utile.

Era facile previsione che il governo Draghi sarebbe uscito azzoppato dalla partita per il Quirinale, lo sapevano anche (o forse soprattutto) coloro che ipocritamente hanno trattenuto il premier a palazzo Chigi: non perché imprescindibile, ma perché sapevano che sarebbe stato impotente.

Critiche esplicite

Certe critiche che nei mesi scorsi rimanevano confinate a cene private e pranzi regolati dalla riservatezza in stile Chatam House, adesso arrivano sulle prime pagine dei giornali: l’ex premier Mario Monti (Corriere) e l’economista Carlo Cottarelli (Stampa) sono stati impietosi e hanno decretato la sostanziale paralisi di un esecutivo che ha trascurato uno dei suoi mandati, cioè avviare le riforme abbinate ai fondi europei del Pnrr.

Cottarelli dice che sono meglio le elezioni, Monti che Draghi dovrebbe costringere i partiti a sostenere una drastica azione riformatrice: prendere o lasciare.

A osservarlo da fuori, Draghi sembra essere stato tentato più spesso dall’ “opzione Cottarelli” (lasciare) che dall’ “opzione Monti” (forzare): ha preso spesso posizioni di principio che poi ha contraddetto nell’azione di governo, sul pagamento del gas in rubli, sullo spreco miliardario del superbonus, sulla politica estera muscolare (a giugno ci sarà un bilaterale con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan che qualche mese fa era un “dittatore”), sulla riforma del fisco…

Premier dell’emergenza

Nella prima fase del suo mandato, Draghi è stato molto, troppo accomodante, e molti vedevano in questa disposizione al compromesso il tentativo di costruire il consenso necessario a salire al Quirinale.

Così ora c’è chi attribuisce al premier nuove ambizioni – il vertice della Nato, la presidenza della Commissione europea nel 2024 –  che però dipendono da incastri e variabili fuori dal controllo della politica italiana, assai poco dipendenti dall’azione di governo. E Draghi non può non saperlo.

Forse l’ex presidente della Bce è semplicemente rimasto intrappolato nella vera malattia della politica italiana, quella forza di attrito molto romana che è capace di arrestare anche la spinta più decisa. E se la spinta iniziale era già cauta, non resta che l’immobilismo.

Eppure, Draghi non è senza speranza. Ha governato fino a gennaio come premier dell’emergenza, poi si è riconvertito in premier dell’ordinaria amministrazione.

Un’emergenza c’è ancora, eccome, la guerra e le sue ricadute economiche e sociali. Se Draghi volesse, avrebbe molti argomenti per imporre ai partiti (o decidere con loro) provvedimenti più significativi degli sconti sulla benzina o dello scorporo del canone Rai dalla bolletta, per alleggerirla. Alle elezioni mancano pochi mesi, ma non così pochi da poterli sprecare.

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