Da banchiere centrale, alla Bce, ha fermato la crisi dell’euro con tre parole, whatever it takes, nel 2012. Dunque, Mario Draghi non è certo il tipo di presidente del Consiglio che attribuisce poco peso a quello che dice, come dimostra anche la parsimonia della sua presenza sui media: nessuna intervista ai giornali, nessuna partecipazione ai talk show. Proprio per questo alcune delle cose che ha detto nell’ultima conferenza stampa suscitano qualche perplessità.

«Smettetela di vaccinare gli psicologi di 35 anni, con che coscienza la gente salta la lista, sapendo che lascia esposto al rischio una persona che ha più 75 anni».   Quasi certamente quello psicologo di 35 anni si è vaccinato perché obbligato dal decreto legge del governo Draghi in vigore dal primo aprile, che prevede la vaccinazione come «requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative» di tutti coloro che lavorano nelle strutture sanitarie pubbliche e privati, nelle farmacie e perfino negli studi professionali.

In altri passaggi della conferenza stampa Draghi ha dato risposte un po’ vaghe. Quando ci saranno i 500.000 vaccinazioni al giorno? Non è ben chiaro. Il governo costringerà le regioni a vaccinare soltanto per età e non più per categorie? Draghi dice che non conosce «il dettaglio» di una imminente direttiva «del generale Figliuolo». E poi c’è la frase che ha generato una piccola crisi diplomatica con la Turchia: il riferimento al presidente Recep Tayyp Erdogan come uno dei “dittatori” con i quali l’Italia e l’Unione europea hanno necessità di trattare. Una modalità un po’ brusca di condurre la politica estera.

Ci sono due interpretazioni per spiegare scelte di comunicazione così, diciamo, inusuali. La prima è che Draghi sia rimasto vittima del format che ha costruito. Di solito i presidenti del Consiglio, non soltanto Giuseppe Conte, tenevano le conferenze stampa al termine dei Consigli dei ministri, quando avevano un provvedimento da annunciare. I titoli di giornali e tg sarebbero poi stati sul provvedimento.

Draghi ha scelto un altro approccio, quello della conferenza stampa senza annunci, convocata all’esclusivo scopo di rispondere ai giornalisti sull’azione complessiva del governo. Se le domande sono su qualunque argomento, senza limiti o priorità, il rischio di pronunciare qualche parola fuori misura diventa praticamente una certezza.

Dominare l’agenda

La spiegazione alternativa è che Draghi sappia esattamente cosa sta facendo. La giornata della conferenza stampa era dominata dai cascami della manifestazione dei ristoratori del giorno prima: troppe incertezze sulle regole e riaperture, la Lega di Matteo Salvini che intercetta il malcontento e attacca il ministro della Salute Roberto Speranza.

Di risposte, a quella platea, al momento Draghi non ne ha: gli annunci di un nuovo scostamento di bilancio, di riaperture in sicurezza, e di un’accelerazione del piano vaccinale prima o poi diventeranno realtà, ma non domani. Sui giornali (pochi, a parte Domani) e sui social continuavano poi le polemiche per i ringraziamenti alla Libia per i “salvataggi” in mare dei migranti, salvataggi che sboccano poi in centri di detenzione dove i “salvati” vengono rinchiusi e spesso torturati.

E allora ecco la conferenza stampa, che toglie la protesta dei ristoratori da giornali e tg e scavalca Salvini nelle critiche a Erdogan, per aver negato sedia e status alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Il leader leghista deve perfino recuperare vecchi slogan contro Ong e trafficanti, facendo sembrare le parole di Draghi sulla guardia costiera libica un esempio di moderazione.   

Certo, resta la confusione sui vaccini, dieci giorni fa l’ordine di vaccinare tutti, a cominciare i sanitari, oggi quello di non vaccinare tutti e di non estendere la categoria dei sanitari, perché ci sono altre priorità. Ma forse il premier che non ha account social e comunica pochissimo ha capito come funziona la comunicazione oggi: quello che conta è essere sempre assertivi e dettare l’agenda per evitare che la dettino altri.

Meglio occupare lo spazio di attenzione della giornata con le polemiche che lasciarlo riempire ad altri, con critiche o con i propri slogan. Il contenuto conta poco, la polemica stimola l’engagement, l’engagement garantisce rilevanza al protagonista della polemica. Un approccio più da influencer che da banchiere centrale, ma Draghi si è reinventato molte volte in vita sua.

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