Ė lecito avere delle differenze d’opinione, anche forti, su quello che il governo fa e non fa, purché le critiche siano argomentate e le controproposte risultino dotate di un minino di adeguatezza. Più preoccupante è la situazione quando le differenze d’opinione fanno la loro comparsa all’interno della stessa compagine governativa e nei suoi dintorni, per esempio, nei gruppi parlamentari che quel governo dovrebbero sostenere nella sua azione.

Troppi commentatori sembrano essersi abituati a guardare quasi esclusivamente al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, con suo grande compiacimento, oppure a quello che succede soprattutto nella galassia del Movimento Cinque stelle, senza riuscire a offrire una sintesi equilibrata.

Naturalmente, è vero che anche in altre democrazie, dove pure il capo dell’esecutivo dispone di notevoli poteri e visibilità politica appaiono dissensi, ma, alla fine, quel capo, anche in versione femminile, è agli occhi di (quasi) tutti considerato il decisore in chief. Dagli Stati Uniti presidenziali, alla Francia semipresidenziale, alla Gran Bretagna del primo ministro, alla Germania della cancelliera, non mancano prese di distanza, ma la responsabilità delle scelte è chiaramente attribuita al capo dell’esecutivo e i dissensi tacciono.

Da qualche tempo, in Italia, la situazione sembra piuttosto diversa. In verità, i malumori per i Dpcm hanno una storia relativamente lunga anche se vedere Conte come despota con propensioni autoritarie mi è sempre sembrata un’assurdità più che una semplice esagerazione. Non era, forse, solo l’urgenza che motivava quei Dpcm, ma qualcosa che Conte conosceva meglio di altri ovvero la pluralità di preferenze nella sua maggioranza che soltanto lui poteva ricomporre in quei Dpcm. Con successo, fino a tempi recenti.

La seconda, prevedibile e prevista, anche se non con questa impennata e con questa gravità, sembra avere scosso in maniera più seria la maggioranza, accrescendo le differenze di opinioni, non tutte “legittime”, e soluzioni.

Sarebbe sicuramente eccessivo parlare di «guerra di tutti contro tutti», ma hanno fatto la loro comparsi malumori diffusi che riguardano non solo e non tanto le misure prese, ma coloro che hanno preso o debbono prendere quelle misure. Non sta a me giudicare quanto Andrea Marcucci, capo del gruppo dei senatori Pd, sia o voglia essere la quinta colonna di Italia Viva e di Matteo Renzi, ma la sua richiesta, poi goffamente ridimensionata, di rimpasto è assolutamente emblematica del momento. Ė anche un colpo al presidente del Consiglio e ai Cinque Stelle che si erano già espressi contro questa ipotesi/necessità. Ha dovuto essere immediatamente respinta da Zingaretti, mentre non pochi dirigenti del Pd sembrano alquanto inclini ad intrattenerla.

Lascio approfondimenti e seguito agli autorevoli retroscenisti ai quali, peraltro, continuerò a rivolgere i miei strali quando, vale a dire  troppo spesso, al racconto di quanto avviene dietro la scena sovrappongono le loro preferenze politiche.

Il punto di sostanza è chiaro. Esiste ancora sufficiente compattezza nella maggioranza che sostiene il presidente del Consiglio Conte per affrontare le prossimi settimane che si annunciano durissime, forse drammatiche? Hanno Conte e i suoi ministri sufficiente fiducia nell’operato di ciascuno dei ministri e di tutti? Sono e si ritengono in grado di moltiplicare le loro energie, di fare appello a nuove risorse, di giungere ad un livello più alto di competenza e di impegno? Oppure la loro persistenza in carica discende sostanzialmente dalla convinzione che questo è, nonostante qualche debolezza di qualche ministro/a il migliore dei governi possibili e/o, dall’altro, dalla preoccupazione che qualsiasi mutamento nella compagine ministeriale destabilizzerebbe in maniera irrimediabile il governo tutto, al limite, persino lo stesso presidente del Consiglio e che, pertanto, non neppure discutersene?

Purtroppo, per Conte e il suo governo, il problema è che già se ne discute e che, in effetti, automaticamente la discussione indebolisce il governo, brucia energie, mina l’azione.

Alcuni, come il direttore del Domani, pensano e scrivono che è indispensabile un vero e proprio cambio di governo, a cominciare dal capo del governo. Altri (cerco di coinvolgere qualche potenziale sostenitore) affermano che, primo, dovrebbe essere lo stesso presidente del Consiglio a prendere atto che per ridare slancio al governo un rimpasto può essere molto utile e, di conseguenza, secondo, chiedere ai capi dei partiti che fanno parte della maggioranza la loro disponibilità ad un rimpasto “guidato.

Ė uno schema da “vecchia” Repubblica? No, è semplicemente un modo, forse il migliore, per ridare smalto e slancio all’azione del governo.  

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