Il 2 aprile scrissi su queste colonne che la strategia di Giuseppe Conte era dettata dal risentimento verso Draghi, usurpatore del posto di premier al quale Conte si era molto affezionato. Un giudizio in seguito condiviso da alcuni affermati commentatori politici. Questa visione è confermata dal fatto che Conte ha prodotto un sistematico attacco al governo Draghi, peraltro formato anche da ministri Cinque stelle, firmando per primo l’atto della sua caduta. E nel momento del voto di fiducia ha dimostrato di non essere l’avvocato degli italiani, come si era definito all’inizio del suo primo governo, affossando il governo, che in questi giorni gli italiani avevano chiaramente espresso di voler mantenere attraverso le voci dei sindaci, dei sindacati, delle associazioni di categoria, del mondo imprenditoriale e del mondo cattolico.

L’ultimo tradimento

Conte voleva soddisfazione sul fumoso documento di nove punti che conteneva una delle peggiori scelte economiche di sempre come il costosissimo superbonus e il reddito di cittadinanza, che comunque tutti sanno che deve essere rivisto. Ma era solo una scusa.

Che si rischi di non approvare la legge di bilancio, di perdere i fondi del Pnrr e di realizzare le riforme in esso contenute, che si perda la credibilità di questo paese nel mondo intero a Conte non importa un fico secco. Come non importa un fico secco alla destra italiana. L’obiettivo del rancoroso azzeccagarbugli di provincia è stato raggiunto: Draghi lascia Palazzo Chigi. Azzeccagarbugli non è detto a caso se si ricorda la storia dello statuto del Movimento, i suoi alternanti rapporti con Grillo e i maggiori esponenti 5 stelle, la sua equivoca alleanza con il Pd.

Giuseppe Conte e Enrico Letta (LaPresse)

Conte è un leader abituato a tradire come fece con Salvini dopo la caduta del governo governo giallo-verde e come ha fatto mercoledì scorso con Letta e Speranza dopo l’accordo preso per il voto favorevole al governo, mentre continuava quella grottesca assemblea permanente tra falchi e colombe che non decideva assolutamente niente.

Si è così ritornati all’atmosfera del  primo governo giallo verde con la posizione populista di Salvini che sostiene i privilegi dei tassisti e quelli dei balneari, e magari in futuro anche la flat tax quando la Lega sarà al governo, ma soprattutto un ricongiungimento dei filorussi putiniani di ferro: Berlusconi, Salvini, Conte.

Scelte perdenti

Il suo (?) partito si è già dimezzato e rischia un’altra scissione, ma anche questo, a quanto pare, non preoccupa eccessivamente Conte, come non preoccupa una possibile invasione di campo di Di Battista e il fatto che gli italiani alle prossime elezioni non gli perdonino di aver causato la caduta del governo Draghi. Il pronunciamento di Grillo su tutto questo rischia di esplodere in modo inaspettato.

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse 14-01-2019 Roma Politica Palazzo Chigi. Conferenza stampa Nella foto Matteo Salvini, Giuseppe Conte Photo Fabio Cimaglia / LaPresse 14-01-2019 Roma (Italy) Politic Palazzo Chigi. Press Conference In the pic Matteo Salvini, Giuseppe Conte

La storia del Movimento è da sempre strana e imprevedibile. Formato da un comico e da un informatico come progetto anti casta è pian piano scivolato verso la forma di partito, ma senza avere una strategia e un piano con senso compiuto in campo politico, economico, formativo  e sociale.

Come spesso succede, chi semina vento raccoglie tempesta. E non sarà solo Conte a raccogliere tempesta per il suo partito. Sta succedendo a Forza Italia con l’uscita di Gelmini, Brunetta e Carfagna, mentre ci si chiede fino a quando Giorgetti, Zaia e Fedriga lasceranno a Salvini la guida di un partito che continua a perdere voti.

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