L’arrivo della “seconda ondata” ha fatto passare in secondo piano temi diversi da quello del contrasto al virus. Del resto, “la salute prima di tutto” non è solo un modo di dire. Ma “salute” significa anche “salvezza”, quindi pure organizzazione di ciò che servirà al Paese per “salvarsi” quando lo tsunami della pandemia sarà passato.

Se oggi si paga l’impreparazione dovuta al tempo perso, cioè non impiegato per approntare quanto sarebbe stato necessario, è bene non commettere in futuro lo stesso errore.

Per sconfiggere il Covid-19 si confida nel vaccino. Per la crisi economica e sociale, invece, occorre la capacità di approntare misure mirate alla ripresa. 

Recovery Fund e criteri di fruizione

Nei prossimi mesi un forte aiuto arriverà dal Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery and Resilience Facility, nell’ambito del piano Next Generation EU) che ha il fine di sostenere gli Stati dell’Unione Europea.

I Piani nazionali di riforma e resilienza (Pnrr), – da predisporre per fruire dei relativi fondi - secondo le indicazioni della Commissione europea devono concentrarsi su progetti idonei a generare l'impatto più duraturo, tra l’altro, in termini di potenziale di crescita, creazione di occupazione, resilienza economica, sociale e dei sistemi sanitari.

I Pnrr devono individuare obiettivi specifici e realistici, i cui effetti siano valutabili ex ante mediante precisi indicatori di carattere quantitativo, nonché verificabili ex post utilizzando i medesimi indicatori, al fine di vagliarne il grado di raggiungimento, secondo scadenze prefissate.

Il mancato rispetto di tempi e obiettivi potrebbe precludere la fruizione delle risorse, dunque una buona pianificazione è oltremodo importante.

Il “sistema” italiano delle riforme

Quanto richiesto dalla Commissione Ue rappresenta una “rivoluzione” rispetto all’impostazione nazionale. Di norma, in Italia le politiche pubbliche mancano di un esame preliminare circa le diverse opzioni di intervento, anche mediante ponderazione di costi e benefici di ciascuna; di un’analisi di fattibilità dell’opzione prescelta, pure con riguardo ai mezzi necessari per realizzarla; di un attendibile scenario di funzionamento, inclusi possibili effetti inattesi o indesiderati; di rendicontazioni puntuali circa gli esiti prodotti.

In altre parole, le riforme nazionali sembrano assistite da una “presunzione di efficacia”: il vantaggio che produrranno è dato per scontato, poiché valutato solo in termini di fondi distribuiti, e non di risultati concretizzati.

La politica alimenta questo meccanismo, poiché su di esso basa il consenso elettorale. E i cittadini non hanno alcun interesse a smontarlo: percepiscono bonus, incentivi e similari come se provenissero da un pozzo senza fondo, senza considerare che quel pozzo sono le loro tasche - come contribuenti, italiani o europei non cambia nulla - e che quei soldi potrebbero forse essere usati meglio a favore di tutti.

È un circolo vizioso, che non si interrompe anche per la mancanza di un soggetto super partes, preposto ad accertare che le scelte siano orientate nel modo più produttivo e i risultati siano quelli previsti.

Senza tale vaglio non si rilevano gli errori e, di conseguenza, non si correggono interventi già avviati né si pone fine a politiche inefficienti.

La fretta contro la trasparenza

Il Recovery Fund potrebbe essere l’occasione per sovvertire questo paradigma. Nello schema di relazione sul suo utilizzo il governo ha ipotizzato – tra le altre cose - «un’infrastruttura di servizio, composta da soggetti pubblici (si pensi ad esempio all’Istat) e privati (centri di ricerca, università, think tank)» per il «processo di scelta, elaborazione e valutazione dei progetti, coinvolgendo anche l’Ufficio parlamentare di bilancio».

Nel documento si fa pure cenno all’utilizzo degli indicatori di benessere equo e sostenibile (Bes) per stimare gli impatti con riguardo non solo alle «ricadute sul Pil», ma anche «alla dimensione sociale e ambientale». Si prevede, inoltre, un sito web per consentire a tutti «di verificare le scelte effettuate e lo stato di avanzamento dei progetti».

Sul piano teorico, le indicazioni del governo paiono andare nella direzione giusta. Sul piano pratico, invece, si è accumulato già troppo ritardo. I tempi per programmare l’utilizzo delle ingenti risorse del Fondo sono sempre più ristretti.

Il rischio è che con l’alibi dell’urgenza i decisori “taglino”, da un lato, la realizzazione delle buone intenzioni, dall’altro lato, la trasparenza.

La pandemia ha dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, che non basta sciorinare numeri in conferenza stampa per soddisfare istanze di conoscenza circa la fondatezza di scelte che incidono sulla vita delle persone: dati, informazioni e documenti vanno resi disponibili senza che gli interessati debbano chiedere il permesso.

Sarà la volta buona, data pure la presenza della Commissione Ue come supervisore, per far sì che la trasparente valutazione degli impatti delle politiche pubbliche entri non solo nei processi decisionali, ma anche nella cultura del paese, e che i decisori rendano finalmente conto a tutti delle proprie scelte, cioè siano accountable come e quanto serve?

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